Gestione degli impianti sportivi «Tris» di possibilità per il Comune
Pronto lo studio di Paragon: i consulenti «spingono» Asis, ma con correttivi
TRENTO Lo schema più significativo lo si trova quasi alla fine del documento: tre «blocchi» — uno per ogni «modello percorribile» — con l’analisi di punti di forza e debolezza, opportunità e minacce. E con un aspetto che salta subito all’occhio: contando i punti di forza elencati per ognuno dei tre modelli, quelli accostati al «mantenimento dell’attuale gestione in capo ad Asis» risultano di gran lunga i più numerosi. Anzi: il rapporto è di uno a sei. Anche se il «modello Asis» — si legge —, se fosse riconfermato, dovrebbe essere almeno in parte ritoccato. Il quadro è tracciato nello «Studio di un piano comparativo dei modelli di gestione degli impianti sportivi di proprietà del Comune» elaborato dalla società Paragon advisory e consegnato in questi giorni nelle mani del sindaco Alessandro Andreatta: un’analisi chiesta dal consiglio comunale per valutare le alternative ad Asis (l’azienda speciale che gestisce gli impianti sportivi cittadini) in vista della scadenza del contratto di servizio di fine anno e del termine dell’attività del 2020. E che finirà sui banchi di Palazzo Thun nella tornata della prossima settimana.
La società
Un documento puntuale, quello elaborato dai consulenti bolognesi. Che prima tratteggia il contesto normativo e i possibili modelli di gestione per gli impianti sportivi. E poi si concentra sulla situazione del capoluogo e di Asis, «azienda con un capitale di dotazione iniziale — si legge — di 77.468 euro e con un capitale attuale pari a 3.951.345 euro». Il quadro relativo agli impianti fotografato dallo studio, però, non è proprio roseo: del resto, i conti in «rosso» erano emersi già durante le prime discussioni sulla nuova piscina. Nel dettaglio, l’indice medio di copertura dei costi degli impianti si ferma al 50%, con livelli massimi del 74% per il Centro fondo delle Viote e valori minimi del 9% per il Briamasco. «Anche se vi è un variegato livello di marginalità potenziale delle strutture — è la considerazione — per la totalità dei centri si evidenza un insufficiente livello di copertura dei costi con i ricavi da utenza, principalmente determinato dall’impegno manutentivo necessario per la complessità tecnica dei centri e dal livello della spesa per servizi necessaria per la garanzia di un adeguato livello di qualità percepita delle strutture». Confrontando quindi la spesa pro capite per lo sport di Trento con altri centri del Nord Est, emerge che in città il valore è «tre volte superiore alla media» (61 euro pro capite, contro i 20 euro di media), «battuta» solo da Bolzano (che arriva a 70 euro). Anche se il capoluogo deve fare i conti con «una ridotta concentrazione degli impianti»: caratteristica che influisce «negativamente sui costi di gestione per effetto di potenziali difficoltà nelle logiche di sussidiarietà incrociata tra impianti». A rendere il quadro ancora più delicato c’è l’intervento comunale, che con gli incentivi alla pratica sportiva altera, di fatto, il mercato delle tariffe. Ma anche la necessità, per Asis, di gestire anche «un alto numero di impianti privi di rilevanza economica».
Le alternative
In questa situazione, qual è dunque la gestione ottimale per gli impianti sportivi trentini? Lo studio passa in rassegna tutte le possibili opzioni. Indicando, per ognuna, la reale fattibilità. Il primo modello analizzato è la gestione in economia da parte del Comune, scartata per «criticità di carattere organizzativo, procedurale ed economico di non scarso rilievo» a meno che non si «individuino sinergie fra le attività svolte dal Comune e da Asis». Pollice verso anche per l’eventuale trasformazione di Asis in società di capitali, così come critica viene giudicata la privatizzazione della società. Quante sono quindi le strade percorribili? La società bolognese ne individua tre, con pregi e difetti. La prima riguarda il «coinvolgimento delle associazioni sportive del territorio per la gestione degli impianti privi di rilevanza economica», che garantirebbe «sussidiarietà» e permetterebbe di «concentrare» Asis sui grandi impianti, ma comporterebbe un aumento di costi per il Comune per le procedure di affidamento e per i sistemi di controllo, con il rischio tra l’altro di «possibili pratiche scorrette» da parte delle associazioni. La seconda opzione è l’«affidamento della gestione dei grandi impianti a uno o più soggetti privati»: un’ipotesi che ha l’«offerta economicamente più vantaggiosa» come punto di forza e che offre numerose opportunità, come il possibile coinvolgimento di capitali privati nello sport e la possibilità di «ripensare alle politiche di gestione degli impianti e alle tariffe». Ma che presenta anche punti di debolezza — come le difficoltà di controllo — e alcune minacce, come il «rischio in ordine alla sostenibilità di Asis» e l’impatto sindacale per i dipendenti. L’ultima possibilità, secondo i consulenti, è quella di mantenere la gestione in capo ad Asis. Con più di un punto a favore: il know how gestionale degli impianti in capo alla società, le economie di scala, la presenza di un interlocutore unico e di un unico soggetto da controllare. E i punti di debolezza? La «forte rilevanza della componente politica» e l’assenza del confronto con il mercato. Con qualche minaccia, come la «necessità di sviluppare una delibera per il mancato coinvolgimento delle associazioni». Ma se si opterà per questa soluzione, avverte Paragon, si dovranno prevedere dei correttivi, intervenendo sulla parte del controllo (legato al piano anticorruzione), valutando la possibilità di liberalizzare alcune tariffe e allargando il perimetro gestionale «di una società — sottolinea il documento — fortemente sbilanciata sull’ambito manutentivo».