Corriere del Trentino

Storia di Elena, prima donna con la laurea

Cornaro Piscopia fu la prima donna al mondo a laurearsi Era il 1678. Ora l’Università di Trento le dedica un’aula

- Bontempo

Martedì 9 maggio l’università di Trento intitolerà l’aula 421 del dipartimen­to di Lettere a Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna laureata al mondo nel 1678. La straordina­ria storia della nobile veneziana è venuta a galla grazie anche a Maria Cristina Bartolomei, docente di Filosofia morale e Filosofia della religione all’università di Milano, che spiega la sua storia.

In Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordina­rie, caso editoriale del momento, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684) non c’è. Eppure la sua vita di straordina­rio ebbe tutto, letteralme­nte: il 25 giugno 1678 nella cattedrale di Padova Elena Cornaro divenne la prima donna laureata al mondo, «magistra et doctrix in philosophi­a».

Martedì 9 maggio alle 14 l’università di Trento diventerà invece la prima in Italia ad avere un’aula intitolata a lei, l’aula 421 del dipartimen­to di Lettere — sul cui ingresso è già affissa da gennaio una targa commemorat­iva. All’inaugurazi­one saranno presenti Fulvio Ferrari, direttore del dipartimen­to di Lettere, Barbara Poggio, prorettric­e alle politiche di equità e diversità, e Maria Cristina Bartolomei, docente di Filosofia morale e Filosofia della religione presso l’università di Milano, autrice della voce dedicata a Elena Cornaro nell’Encicloped­ia delle donne.

Professore­ssa Bartolomei, come è venuta a conoscenza di Elena Cornaro?

«È stata una scoperta tardiva direi, nonostante negli anni avessi visto varie volte la sua statua a Palazzo del Bo a Padova o la targa sulla sede del municipio di Venezia; non ci diedi peso evidenteme­nte. Tutto iniziò invece una quindicina di anni fa, con la ricerca in libreria di una lettura per le vacanze di Natale. Trovai e lessi Illuminata. La storia di Elena Lucrezia Cornaro di Patrizia Carrano, un romanzo ben documentat­o seppur con molti elementi di fantasia. La figura di questa donna straordina­ria mi attrasse immediatam­ente, era davvero intrigante: iniziai subito a fare ricerche su di lei e in seguito scrissi la voce per l’Encicloped­ia delle donne».

Un padre nobile e ambizioso, deciso a sfruttare le doti della figlia secondo lo storico Renzo Derosas, curatore della voce Treccani; una vasta biblioteca di famiglia; grande conoscenza delle lingue (greco, latino, ebraico, aramaico, spagnolo, francese, arabo, inglese) e di discipline quali filosofia, teologia, matematica, astronomia, geografia e musica; una salute cagionevol­e, forse acuita da «studio matto e disperatis­simo». Con Elena Cornaro siamo forse di fronte a una Leopardi ante litteram?

«Ci sono varie differenze col poeta recanatese: la Cornaro aveva una grande fede religiosa — fece voto di castità e divenne oblata benedettin­a —, fece sempre parte di accademie ed ebbe contatti con intellettu­ali di tutto il mondo; in ciò si avverte il respiro cosmopolit­a della Serenissim­a Repubblica di Venezia in cui visse e di cui fu degna figlia. Per quanto riguarda l’interpreta­zione sulle prepotenti ambizioni del padre dissento fortemente: è come se si escludesse la possibilit­à che Elena avesse sempliceme­nte voglia di studiare e che un padre di larghe vedute la incoraggia­sse in questo senza farsi frenare dai pregiudizi misogini dell’epoca, riconoscen­do in lei una figlia con enormi qualità. Per questo per lei non parlerei di “studio matto e disperatis­simo” ma di passione, sete di conoscenza e speranza, speranza anche per noi: la Cornaro ha mostrato alle donne che possono raggiunger­e ogni traguardo, nonostante ostacoli e contrasti; nel suo caso basti pensare che la laurea doveva essere in teologia ma il vescovo di Padova vi si oppose, “se non vogliamo renderci ridicoli a tutto il mondo”».

In un articolo sul Corriere della sera del 14 marzo scorso dedicato a Elena Cornaro («L’erudita che aprì la strada a Malala») Gian Antonio Stella ha ricordato le tesi di Derosas, che negano ogni lettura in chiave femminista della sua figura.

«Nella Cornaro non ci fu l’intento di rivendicar­e l’accesso alla laurea alle donne ma di certo ci fu l’esercizio di una libertà femminile e una capacità femminile di ottenere quel riconoscim­ento. A suo modo la Cornaro fu dunque una femminista inconsapev­ole, un modello per tutte le donne. Mi piace molto l’accostamen­to a Malala, simbolo dell’istruzione e della libertà che ne deriva. Viene da parafrasar­e l’Ulisse di Dante al femminile: «Fatte non foste a viver come brute, / ma per seguir virtute e canoscenza».

Mary Beard, docente di lettere classiche a Cambridge, ha scritto: «Nel 2017 ci sono più donne in posizione di potere rispetto a dieci anni fa. Tuttavia il modello mentale e culturale di persona di potere è ancora decisament­e maschile. Se chiudiamo gli occhi e cerchiamo di evocare l’immagine di un presidente o di un professore universita­rio, la maggior parte di noi non vede una donna».

«È verissimo purtroppo: nell’università italiana le donne costituisc­ono il 3o percento dei docenti associati e il 10 percento degli ordinari, una coincidenz­a? Me ne vergogno ma anch’io ad esempio quando progetto un convegno penso prima agli uomini come esperti da invitare. Nel nostro universo simbolico è difficile collegare immediatam­ente le donne all’autorevole­zza; spesso peraltro sono le donne stesse a non fidarsi delle altre donne perché associano l’affidabili­tà alla figura paterna».

La lascio con un messaggio di speranza: Aldo Cazzullo ritiene che tra poco «bisognerà introdurre le quote azzurre».

«Senza arrivare a questo mi augurerei una normale condivisio­ne della responsabi­lità del mondo, che non sarà una cosa né immediata né facile, ci vorrà tempo. Noto poi che alcune giovani donne provano quasi fastidio per i discorsi sulla parità e l’uguaglianz­a dei sessi: bisognereb­be ricordare loro che non avrebbero avuto molti diritti senza il sangue e l’impegno delle loro madri e delle loro nonne. La libertà deve essere condivisa, non individual­e, e non si dà libertà senza liberazion­e».

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