«Se c’è paura il terrorismo l’avrà vinta»
Vissol in arrivo a Rovereto il 6 maggio: «Sicurezza e geopolitica, impegno insufficiente»
«Con la paura vince il terrorismo». L’economista Thierry Vissol, spiega cosa si deve cambiare per vivere con meno paura e essere più uniti. Vissol sarà a Rovereto il 6 maggio prossimo.
TRENTO A Parigi si spara ancora, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali. E cresce la paura, sugli Champs-Elysees come nel resto d’Europa. Ma la colpa non è solo degli attentatori. Thierry Vissol, economista e consigliere speciale media e comunicazione presso la Rappresentanza in Italia della Commissione europea che il 6 maggio sarà a Rovereto per «Le giornate dell’Europa», spiega come e cosa bisognerebbe cambiare per vivere con meno paura e per tornare a essere (davvero) uniti.
L’ennesimo attentato in Francia e l’Europa che appare sempre più sgomenta e impreparata a fronteggiare il terrorismo: come vive da europeo e, ancor più da francese, questi momenti?
«È incredibile che un paese di 65 milioni di persone abbia paura di un solo uomo con un kalashnikov. Quello che è accaduto è riprovevole, ma accade sempre, ogni giorno, in qualche altra parte del mondo di cui non ci interessiamo. Ormai ci siamo abituati ad avere morti di serie A e di serie B».
Non dovremmo quindi aver paura?
«Avere paura significa aver fatto vincere il terrorismo e devo dire che ci stiamo riuscendo benissimo. A partire dai media che con le loro inutili dirette 24 ore su 24 non fanno che trasformare questi terroristi in eroi, con il rischio qualche altro scelga di emularli».
C’è qualcosa di più profondo però, rispetto alla sola comunicazione, che non va in questa Europa.
«Sicuramente. In primis, il fatto che l’impegno in geopolitica e in sicurezza è insufficiente. Solo ora stiamo iniziando a ipotizzare una gestione comune della sicurezza e una cooperazione tra le intelligence dei paesi, e non abbiamo neanche un bilancio adatto a farlo. Solo per il black internet, ad esempio, servirebbero migliaia di uomini con competenze non solo informatiche. In Francia hanno impegnato ben duemila persone in questo ambito, ma dubito che a livello comunitario si riesca a fare lo stesso».
Eppure, nella dichiarazione redatta in occasione dei 60 anni dei Trattati di Roma, la sicurezza era al primo posto. Sono solo parole?
«Le celebrazioni sono state sottotono e superficiali. Non ho sentito alcun discorso sul futuro dell’Europa né sui suoi valori. I politici hanno paura di andare contro il popolo, per questo non si espongono e non difendono convintamente l’Unione. Fa comodo a tutti addossare le colpe a un organismo distante e poco conosciuto».
Non a caso, a Rovereto la sua lectio si intitolerà «Tutta colpa dell’Europa e dell’Euro?». Quanto, questa comunicazione deviata, influisce sulla tenuta democratica degli Stati membri e della stessa Europa?
«Moltissimo. Il problema vero, oggi, non è costruire un’Europa a più velocità, ma capire chi vuole andare dove e come. C’è chi vorrebbe un’Europa più unita e chi invece vuole guardare solo all’interno dei propri confini. Dovremmo avere valori comuni che si rafforzano anche grazie a un’informazione coerente. Anche recentemente l’Italia ha giustificato le manovre economiche dicendo “Lo chiede l’Europa” quando sarebbe più corretto dire che queste misure sono inevitabili per un paese che ha un rapporto debito / Pil al 135%. Ma la verità è che quando entrano in gioco i populismi, affiora la cattiva politica». Crede sia possibile un cambiamento?
«Le cose da fare sono molte e abbiamo problemi su più fronti: i cittadini sanno poco o nulla dell’Europa, non esistono programmi di formazione nelle scuole e la stessa Commissione europea ha un budget insufficiente a realizzare una comunicazione efficace, parliamo di circa 80 milioni di euro l’anno per 500 milioni di persone. Una cifra ridicola».
Lei però ha creato il concorso «Una vignetta per l’Europa»: la satira può essere una via per supplire a questa mancanza?
«La satira è graffiante, non piace alle élite e consente di attirare un’attenzione universale. Ecco, credo proprio che sia un linguaggio fondamentale nella democrazia».
Progetto incerto «I politici temono il popolo, per questo non difendono convintamente l’Unione europea»