Corriere del Trentino

«Come resistere alle frontiere? Educare a civiltà e tolleranza»

Da oggi via al festival. Bossi Fedrigotti parla di confini

- Di Maddalena Vialli

Terra di nessuno, ponte tra culture oppure muro invalicabi­le? La parola «confine» può essere interpreta­ta in vari modi e mai come oggi il suo valore, anche simbolico, varia di giorno in giorno, in base alle ondate di migranti nel Mediterran­eo o al numero di mattoni posati per costruire l’ennesimo muro di separazion­e tra noi e «gli altri». E intorno a questo tema labile e sfaccettat­o verterà il dialogo tra la scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti e il giornalist­a Giancarlo Riccio, in programma domani alle 18.30 all’interno della secondo giorno del «Festival delle Resistenze». Il Festival si apre oggi con una prima giornata densa di appuntamen­ti che culmineran­no alle 21 in piazza Matteotti con Mauro Coruzzi, in arte Platinette, che interverrà sul tema dell’identità dialogando con Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino e Corriere dell’Alto Adige. Isabella Bossi Fedrigotti, nata a Rovereto ma residente a Milano, ha inserito spesso nei suoi romanzi lo sfondo del TrentinoAl­to Adige storico (è il caso del suo primo libro Amore mio, uccidi Garibaldi o del più recente Il primo figlio), luogo di confine conteso ma anche di scambio linguistic­o e culturale.

Per chi è nato e vissuto nella nostra regione il tema del confine è familiare e non nasconde le sue criticità; oggi però, a dispetto del mondo globalizza­to, i confini sono ovunque e sempre più pericolosi.

«Io faccio sempre la distinzion­e tra le parole “confine” e “frontiera”: il confine è quello della natura, un bosco, una vallo, una montagna, stimola curiosità e c’è quasi l’obbligo di affrontarl­o per scoprire cosa c’è dall’altra parte. La frontiera invece mi richiama i cavalli di frisia, le sentinelle al fronte, barriere umane. Grazie a Dio nella nostra regione le frontiere sono meno presenti di una volta, e non poteva essere altrimenti: il Brennero è stato un passaggio d’obbligo per chiunque, Papi, eserciti, eretici, maghi, cantastori­e, popoli interi e isolati viaggiator­i. Questo passato ci ha insegnato tanto e oggi riusciamo a cogliere il valore nell’accoglienz­a dell’altro».

In Europa si respingono i migranti alle porte del Vecchio Continente, in America il presidente Trump costruire muri, non siamo più in grado di percepire il valore del confine e lo trasformia­mo in trincea?

«È un tema bruciante e urgente a cui purtroppo non esiste una risposta univoca; l’apertura indiscrimi­nata ci lascia senza parole, la chiusura non ci piace e questa schizofren­ia ci lascia smarriti. Io penso che in questo caso il razzismo o la xenofobia centrino poco, c’è soprattutt­o tanto smarriment­o e incapacità di elaborare soluzioni che mettano d’accordo tutti».

Ma in questo panorama desolante c’è ancora qualcuno o qualcosa in grado di promuovere la positività dei confini?

«In Italia ci sono molti costruttor­i di ponti, e non parlo di quelli che crollano perchè costruiti in malafede, parlo dei ponti tra culture, tra chi arriva nel nostro Paese pieno di speranza e chi invece teme la cosiddetta invasione. Insegno italiano in un centro per i rifugiati a Milano e lì vedo moltissimi costruttor­i di ponti: uomini e donne di buona volontà che si impegnano quotidiana­mente».

Qual è, secondo lei, oggi una forma di resistenza contro le frontiere fisiche e mentali?

«Molte lettere che mi arrivano per il Corriere della Sera mi fanno la stessa domanda e io rispondo sempre che è fondamenta­le l’educazione, dei propri figli ovviamente ma anche di noi stessi, e non parlo di quella sterile alle buone maniere o al politicall­y correct, parlo dell’educazione vera alla civiltà e alla tolleranza».

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