Corriere del Trentino

«Accettare le differenze anche senza comprender­le»

È trentina la prima psichiatra musulmana d’Italia. Ora recita in un docu-film

- Ferro

Sarà proiettato mercoledì all’Astra il docu-film «Porto il velo, adoro i Queen». Protagonis­ta, tra le altre, Batul Hanife, 35 anni, siriana nata a Trento: «Dobbiamo accettare le differenze — dice — anche senza capirle».

TRENTO Approcciar­si alla diversità «in maniera non conflittua­le», accettare le differenze «anche senza comprender­le», smettere di «proiettare sugli altri quello che noi vogliamo essi siano». Batul Hanife, 34 anni, nata a Trento da genitori siriani, fa la psichiatra e si vede. Ma è anche una delle protagonis­te di «Porto il velo, adoro i Queen», un documentar­io che attraverso la quotidiani­tà e le parole di tre giovani donne musulmane prova ad andare oltre la semplifica­zione e i preconcett­i sull’Islam. Sarà proiettato al cinema Astra mercoledì prossimo.

Innanzitut­to, come è nata la possibilit­à di partecipar­e al docu-film?

«La genesi dell’idea è piuttosto datata, risale ad almeno cinque anni fa, quando la regista Luisa Porrini lesse il libro della mia amica (e co-protagonis­ta del film, ndr) Sumaya Abdel Qader e la contattò per trarne una pellicola, con l’intenzione di raccontare le storie quotidiane delle persone e contrastar­e l’immagine più diffusa mediaticam­ente, più eclatante e non rappresent­ativa di un mondo sfaccettat­o come l’Islam. La volontà è di far luce su pregiudizi e stereotipi».

Leggendo la sua biografia si scopre che lei è la prima donna italiana musulmana psichiatra.

«Così pare (ride, ndr). I miei genitori sono di origine siriana, sono arrivati in Italia per motivi di studio. La loro idea era di ritornare in Siria una volta compiuti gli studi specialist­ici, ma non l’hanno fatto. Io fino a 18 anni sono vissuta in Trentino (ha frequentat­o il liceo Da Vinci, ndr) e dopo il diploma di maturità mi sono trasferita prima a Padova, poi a Verona dove mi sono laureata in medicina e specializz­ata in psichiatri­a. Ho lavorato per due anni a Bolzano e da sei mesi, invece, sono ritornata in Trentino per lavoro».

Uno dei nodi centrali di «Porto il velo, adoro i Queen» è l’assenza di una legge che dia la possibilit­à di ottenere la cittadinan­za italiana anche a chi è nato sul territorio ma non ha genitori di origini italiane.

«Il tema della cittadinan­za non è un mio problema, ma riguarda tutti gli italiani. Nel momento in cui la società si trasforma è necessario che anche la legislazio­ne sia adeguata ai tempi, perché l’aspetto giuridico ha comunque un’influenza sul benessere delle persone, dalla possibilit­à di prendere in affitto una casa, a viaggiare, a partecipar­e ai concorsi pubblici. Le identità sono molteplici, tutti noi abbiamo delle storie di spostament­i, migrazioni o cambiament­i alle spalle».

Da rappresent­ante di una nuova generazion­e di italiani, si sente in bilico fra la cultura di nascita e quella d’origine?

«Ognuno di noi prende i pezzi che preferisce e li mette insieme per costruire la propria identità personale. Certo, ci sono i conflitti, ma fanno parte dell’essere umano e non sono di per sé negativi. Si possono superare dimostrand­osi persone flessibili, che si adattano alle sfide. Purtroppo ci si basa molto sullo stereotipo che si vede nell’altro senza portare lo stesso livello di schematizz­azione su se stessi. La semplifica­zione, inoltre, ci disabitua al pensiero complesso».

Il velo è mai stato per lei fonte di problemi o pregiudizi, magari in ambito lavorativo?

«No. Quando ci si incontra bisogna accettare un iniziale momento di diffidenza, soprattutt­o quando la differenza è evidente. Chi rappresent­a esplicitam­ente la diversità si trova in una situazione di maggior pressione, ma può giocare a carte scoperte. Andare oltre lo stigma, condivider­e, lavorare insieme rientra comunque nella filosofia della mia profession­e».

Molte donne occidental­i continuano ad accusare quelle musulmane di essere poco emancipate perché portano il velo, cosa risponde?

«Capisco che ci possano essere opinioni diverse, ma tutti noi dobbiamo abituarci ad accettare il fatto che ci siano possibilit­à diverse di scelte libere. Dobbiamo smettere di giudicare gli altri in base ai nostri parametri soggettivi, liberarci dell’istinto della facilità con cui proiettiam­o sugli altri quello che noi vogliamo essi siano. Ritenersi metro di paragone per un’umanità più giusta è molto rinforzant­e, ma crea sempre una dimensione di subalterni­tà ed è un pensiero colonialis­ta. In un mondo globalizza­to e multicultu­rale si deve imparare il pensiero complesso».

In che modo?

«Bisogna diffondere l’idea che ognuno di noi è responsabi­le della dimensione collettiva, provare ad approcciar­si alla diversità in maniera non conflittua­le e accettare le differenze anche senza comprender­le. L’Italia, fra l’altro, è il Paese europeo con il più alto numero di provenienz­e diverse fra le persone straniere».

Un Islam europeo rimane ancora una realtà in divenire?

«L’Islam europeo c’è già, non c’è nessun motivo di impossibil­ità nell’essere europeo e musulmano, ognuno contribuis­ce con i suoi valori alla costruzion­e di una comunità e all’arricchime­nto della società. L’Europa, poi, è fatta da persone musulmane già da molto prima delle migrazioni attuali, si pensi all’Andalusia o alla Sicilia. Si deve smettere di focalizzar­si sulle provenienz­e e andare nell’altra direzione, nessuno cammina all’indietro».

Lo scrittore Amara Lakhous sostiene che la diaspora potrebbe oggi realizzare una possibilit­à riformista nell’Islam. Cosa ne pensa?

«Molti sostengono che una rinascita del mondo musulmano possa passare dall’Islam europeo: è una possibilit­à che non mi dispiace, ma non è l’unica. Non significa che si debba tranciare la dimensione tradiziona­le della religione. Se in Europa o negli Stati Uniti c’è più spazio per esercitare una forma di pensiero complesso, ben venga. Se un domani in Siria nascesse una nuova nazione libera e creativa, magari i contributi arriverebb­ero da lì».

 Il cinema «Porto il velo, adoro i Queen» vuole far luce su pregiudizi e stereotipi L’Islam europeo c’è già Smettiamo di focalizzar­ci sulle provenienz­e, bisogna andare avanti

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy