Seconde generazioni, numeri in aumento
Il 16% dei residenti stranieri ha meno di diciotto anni. Scuola, cifre record
«Porto il velo, adoro i Queen» è lo spaccato di una nuova generazione di italiani, nati e cresciuti nel Bel Paese ma sempre alla ricerca di una nuova identità nella quale riconoscersi e farsi riconoscere, in un contesto che li accoglie ma al tempo stesso li respinge. Più difficile è restituire un quadro delle seconde generazioni dal punto di vista numerico: «L’unico dato di appoggio a questo concetto riguarda i minori» spiega Serena Piovesan, sociologa dell’area studi e ricerche del Cinformi. Quelli nati in Italia da genitori stranieri con cittadinanza non italiana, in Trentino sono il 16% degli stranieri residenti. «Una quota continuamente in crescita» sottolinea la ricercatrice. Erano infatti il 15,8% nel 2013, il 14,4% nel 2012, il 13,4% nel 2005. «Il concetto di seconda generazione include anche i ricongiunti nell’infanzia o nell’adolescenza — precisa Piovesan — ma tali dati non ci sono. Siccome, tuttavia, il fenomeno migratorio in Trentino non è così retrodatato, possiamo ipotizzare che quel 16% rappresenti la seconda generazione in senso stretto». Paolo Boccagni, docente al corso di laurea di Servizio sociale dell’università di Trento e tra i curatori, assieme a Piovesan, del Rapporto annuale sull’immigrazione in Trentino, segnala «nelle scuole della provincia una quota particolarmente elevata di alunni stranieri nati in Italia, e quindi di seconde generazioni in senso stretto. Rientra in questa categoria il 61,5% degli alunni stranieri in Trentino; un dato superato solo in Veneto (62,8%) e ben superiore alla media nazionale (55,3%)». Le percentuali sono riportate su «Crescere in Trentino», a cura di Arianna Bazzanella. «Si tratta — scrive Boccagni — di un segnale importante della stabilizzazione e della dinamica di crescita endogena della popolazione straniera in Trentino; ma anche della necessità di oltrepassare l’etichetta giuridica di “straniero” per persone nate, cresciute e socializzate nello stesso contesto di vita degli alunni (figli di) autoctoni». Secondo il ricercatore «l’aspetto dell’essere stranieri che probabilmente esercita un’influenza più duratura risiede nella condizione giuridica: ciò che conta davvero è ottenere un diritto all’uguaglianza, ovvero a uno status pari a quello dei coetanei figli di italiani, e a una prospettiva di pari opportunità nella transizione verso l’età adulta».