Denuncia il furto d’arte, ma non era vero
L’uomo voleva truffare l’assicurazione. Tre denunciati. S’indaga sui reperti archeologici
Tre persone sono state denunciate per simulazione di reato finalizzato alla truffa, sostituzione di persona e illecito possesso di reperti archeologici. Le indagini dei carabinieri di Canal San Bovo sono partite da una denuncia di furto presentata da un residente. Nella sua stessa casa, in quella della compagna e in una galleria di Rovigo è però stata rinvenuta parte della refurtiva nonché oltre 40 manufatti storici.
TRENTO Quelle brocche, quei piatti, quei vasi, avevano tutti qualcosa di familiare. Colori e iconografie che al luogotenente Biagio Ficco ricordavano i manufatti che purtroppo da decenni i tombaroli trafugano dai siti archeologici della sua Puglia. E ha deciso di vederci più chiaro. È nata così l’operazione «Lo zanza», espressione che indica colui che truffa per poter condurre una bella vita, condotta dai carabinieri di Canal San Bovo, supportati dall’aliquota operativa di Cavalese, coordinati dal capitano Enzo Molinari, e dal nucleo Tutela patrimonio culturale di Udine. L’operazione ha consentito il rinvenimento di 33 reperti che gli esperti del Servizio beni culturali della Provincia, intervenuti nelle fasi di repertazione e per la consulenza tecnica, hanno ritenuto databili tra il V e il IV secolo avanti Cristo provenienti dalla Puglia, di altri 10 trentini, risalenti all’età del bronzo, nonché di due sciabole dell’impero austro-ungarico e un fucile. Manufatti il cui valore, secondo le valutazioni della soprintendenza, si aggira intorno ai 25.000 euro.
Il 28 settembre scorso un uomo, un veneto residente a Canal San Bovo, si presenta alla caserma dei carabinieri del paesino sostenendo di aver subito un furto di opere d’arte, orologi di pregio e denaro per un valore complessivo di 65.000 euro. Tutti oggetti coperti comunque da assicurazione. A sottrarglieli, sostiene l’uomo, potrebbe essere stato il vicino di casa introdottosi in casa dopo aver scassinato degli infissi.
I carabinieri iniziano le indagini e si recano a casa della vittima del furto, scattando alcune foto. Confrontando le prime risultanze e le dichiarazioni dell’uomo, però, sarebbero emerse contraddizioni e anomalie. E poi ci sono quei manufatti esposti su una credenza a fare bella figura, che colpiscono il luogotenente Ficco mentre scorre le foto. L’attività dei militari si ribalta.
Scattano nuove indagini, questa volta coordinate dal sostituto procuratore Maria Colpani, e vengono eseguite nove scrupolose perquisizioni nell’abitazione dell’uomo a Canal San Bovo, in quella della sua compagna a Rovigo e nei magazzini di un gallerista veneto ad Adria e Piazzola sul Brenta. Sono così iniziati a spuntare un orologio Rado del valore di 8.500 euro, un’iconografia del 1800 raffigurante il battesimo di Cristo del valore di 1.000 euro, opere di cui l’uomo aveva denunciato il furto, e l’attrezzo utilizzato per lo scasso. Duran- te la ricerca sono stati inoltre sequestrati, perché sarebbero stati detenuti illegalmente, tutti i beni archeologici presenti a casa dell’uomo. Non sono state invece ancora rinvenute le opere «Somale al vento» e «Isole di pietra» di Salvatore Fiume (valore 18.000 euro), che la coppia avrebbe depositato in conto vendita sotto falso nome presso il gallerista veneto, il quale le avrebbe poi proposte in televendita su un’emittente locale.
I tre sono stati denunciati in stato di libertà per concorso in simulazione di reato finalizzata alla truffa assicurativa, sostituzione di persona e illecito possesso di reperti archeologici. Il presunto «zanza», inoltre, è accusato di calunnia per aver fatto il nome del vicino come possibile responsabile del furto. Procedono invece gli approfondimenti per capire se per i beni archeologici si tratta di illecito possesso o se esso fosse finalizzato alla ricettazione. Contro i tre, infine, ha presentato denuncia anche la compagnia Allianz, presso la quale i beni oggetto del presunto furto erano stati assicurati.
Nel frattempo l’istanza di dissequestro della merce, avanzata dall’indagato il 2 maggio, è stata rigettata dal Tribunale del riesame che l’ha ritenuta infondata. «Tutti i beni si trovano presso i laboratori di restauro della soprintendenza perché erano conservati in pessime condizioni — spiega la dottoressa Lorenza Endrizzi — Abbiamo già provveduto a contattare la soprintendenza di Foggia, con l’auspicio che i manufatti possano tornare nel loro luogo d’origine».