I dubbi di Paglia «Il capitalismo ci ha reso soli»
TRENTO Imparare a parlare di morte. Stringere alleanze tra popoli e generazioni. Con un Trentino che può diventare capofila di un nuovo agire sociale. È una riflessione ampia e profonda quella con cui monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, è intervenuto ieri a Trento per l’evento organizzato da Cooperazione Trentina, Cassa Rurale Mezzolombardo e San Michele all’Adige, Asdir — Associazione direttori Casse rurali trentine e Ucid — Unione cristiana imprenditori dirigenti. Per discutere di fine e, soprattutto, di nuovi inizi.
Monsignore, più volte ha richiamato gli uomini a prestare attenzione al tema della fine. Come mai è così importante?
«Viviamo immersi in una cultura che fa di tutto per allontanarci dalla parola morte. Eppure, è una realtà che affrontiamo ogni giorno. Una condizione rispetto alla quale non possiamo né dobbiamo essere ciechi. Una vita dignitosa, del resto, è legata alla conoscenza. L’ignoranza genera violenza,
crudeltà, pregiudizio». Ma come possiamo affrontare la fine senza paura?
«Non restando soli. Tenendoci per mano dall’inizio alla fine. Dobbiamo riscoprire un’alleanza sociale tra uomini e donne, tra giovani e anziani. In questo senso, il vostro territorio è maestro: il Trentino ha sempre dimostrato un forte spirito solidale, le stesse realtà
che mi hanno invitato questa sera sono simbolo di prossimità, di vicinanza, di territorialità. Dimensioni che in molti altri luoghi sono andate perse».
Quando la morte diventa protagonista del discorso pubblico, però, è spesso legata al tema dell’eutanasia e del suicidio assistito: siamo in grado di parlare di morte solo
quando sentiamo la necessità di rivendicare la nostra libertà rispetto alla vita?
«Non vogliamo parlare della morte perché abbiamo perso il senso del vivere e dimenticato il significato del mistero. Rifiutiamo l’esistenza di un limite. Così, ci limitiamo a dibattiti in cui spesso si parla senza sapere. Non condanno nessuno, ma chiedo una riflessione più profonda. Mettiamoci intorno a un tavolo e parliamo con cognizione di causa, dando il giusto valore alle parole. Ci accorgeremo che eutanasia non può significare buona morte. È piuttosto un tradimento, della vita e della parola stessa».
La morte, per altro, sempre più spesso è associata a episodi di terrorismo e fondamentalismo. È possibile un’unità sociale rispetto a queste continue e drammatiche tensioni? «È vero, siamo ormai pieni di paure. L’altro è diventato un estraneo, un concorrente, un nemico. E siamo pronti a combatterlo, generando una catena di morte. È come se avessimo introdotto un’alleanza sorda contro la vita. Il terrorismo ne è una dimostrazione: è uno spirito diabolico che pensa di creare qualcosa di buono eliminando gli altri. Anche in questo caso, però, il Trentino può fare scuola: un territorio di frontiera che ha compreso che il futuro è nella dialettica e nella capacità di accogliere. La vita cresce solo con gli altri, mai contro gli altri. Diffondiamo questo spirito, tra i governanti, nelle banche, a scuola». Dunque, ci aspetta un nuovo inizio?
«Certamente. Il capitalismo esasperato ci ha portati a un individualismo e a una solitudine senza precedenti. Rispetto a queste condizioni, solo uno spirito solidale e cooperativista potrà condurci a un nuovo inizio, riscoprendo l’essenza dell’uomo e della donna. E il Trentino è quel luogo ideale in cui realizzare una nuova cooperativa tra popoli e generazioni, per tessere una tela straordinariamente ricca di nuove possibilità».