Gnesetti licenziata, cade la giusta causa
Riformata la sentenza: «Giustificato motivo soggettivo». All’ex dipendente 22 mensilità
TRENTO Riformata la sentenza di merito della causa di licenziamento di Alessandra Gnesetti. Ieri il presidente della sezione lavoro del Tribunale di Trento, Fabio Maione, ha emanato un dispositivo che modifica in Corte d’appello la decisione assunta dal giudice Monica Attanasio.
Le sentenze
La decisione, giunta per l’appunto in fase di merito, aveva stabilito che la donna, cacciata da Itas nel maggio 2015 con l’accusa di non aver rendicontato acquisti per oltre 300.000 euro nel 2013 e per altri 47.000 euro nel 2014, era stata licenziata «per giusta causa», modalità che consente al datore di lavoro di recedere dal contratto senza necessità di preavviso qualora si verifichino situazioni che non consentano la prosecuzione del rapporto. È contro tale dispositivo che Gnesetti, attraverso il suo legale Daniele Mascia, aveva presentato ricorso in appello.
Prima di tale sentenza, però, il giudice Giorgio Flaim si era espresso in fase cautelare stabilendo che il provvedimento dell’istituto assicurativo era da considerarsi un «licenziamento per giustificato motivo soggettivo», formula che impone al datore di lavoro di dare un periodo di preavviso al lavoratore licenziato e che, qualora non venisse dato, lo costringe al pagamento di un indennizzo. In questo caso era stato disposto un risarcimento pari a 8 mensilità nei confronti di Gnesetti, ma non il suo reintegro in azienda.
La sentenza di ieri riporta a tale formulazione, modificando l’entità dei risarcimento ma mantenendo invariata la decisione sul reintegro. Il provvedimento assunto ieri converte infatti il «licenziamento per giusta causa» in «licenziamento per giustificato motivo soggettivo» e dispone a Itas il risarcimento nei confronti di Gnesetti di 22 mensilità complessive, dieci per il mancato preavviso e le restanti dodici come sanzione.
Le differenze
La necessità o meno di dare il preavviso al lavoratore che si intende licenziare non è però l’unica differenza tra le due formulazioni. In attesa di conoscere i dettagli della sentenza, la posizione di Gnesetti risulterebbe ora meno aggravata. Il licenziamento «per giusta causa», infatti, è determinato da comportamenti disciplinarmente rilevanti al punto da non consentire, anche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Il licenziamento «per giustificato motivo soggettivo», invece, avviene quando il lavoratore realizza comportamenti disciplinarmente rilevanti, ma non di tale gravità da comportare il licenziamento «per giusta causa», e cioè senza preavviso. La formulazione è in ogni caso legata a un provvedimento di tipo disciplinare, costituendo quindi una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile sul regolare proseguimento del rapporto di lavoro.
La vicenda
Alessandra Gnesetti è entrata in agenzia nel 1983 ricoprendo la posizione di assistente. Fin da subito la dipendente ha mostrato buone doti nello svolgere il suo lavoro, al punto da ottenere l’incarico di responsabile delle risorse umane, divenire la referente per l’acquisto dei gadget aziendali nonché una stretta collaboratrice del direttore generale Ermanno Grassi.
La carriera della donna, però, venne interrotta bruscamente nel maggio 2015, quando Itas la licenziò. A tale decisione l’azienda sarebbe arrivata dopo aver accertato attraverso indagini interne acquisti non rendicontati dalla dipendente. Prima di procedere con il licenziamento, però, i vertici di Itas avrebbero proposto a Gnesetti il trasferimento in un ufficio periferico, soluzione respinta dalla donna che aveva vinto la causa per demansionamento.
In seguito al licenziamento, che ha sancito l’interruzione del rapporto lavorativo tra l’azienda e la dipendente, le vicende di Itas e Gnesetti non hanno però smesso di intrecciarsi. Con le sue dichiarazioni, infatti, la donna ha fatto partire l’inchiesta della Procura di Trento sull’istituto assicurativo.