Corriere del Trentino

Il romanzo secondo Berardinel­li

- G. B.

«Ho sempre creduto, e credo tuttora, che oltre che inevitabil­e è anche doveroso nell’esercitare la critica conoscere e dichiarare i propri limiti, cioè i propri interessi, le preferenze personali, le passioni estetiche e intellettu­ali. Alcuni ritengono che dire “io” sia un abuso di narcisismo, io penso invece che sia una dichiarazi­one dei propri limiti. Se io affermo che è vera una cosa senza dire: “io penso che sia vera” è un abuso maggiore rispetto a dire che io penso che sia vera. Perché se dico “io penso”, ciò dà dei limiti alla validità del mio giudizio».

L’aula presso il Dipartimen­to di lettere e filosofia dell’Università di Trento è affollata e l’attenzione del pubblico è massima: a raccontare la sua idea di «conoscenza romanzesca» interviene l’apprezzato critico e saggista Alfonso Berardinel­li, ospite d’onore al Seminario internazio­nale sul romanzo diretto da Massimo Rizzante. Nell’introdurlo, Stefano Zangrando sottolinea la difficoltà di presentare Berardinel­li, figura che assomma «una tale autorevole­zza e una tale auctoritas nel campo della critica letteraria che provare a dare una definizion­e della sua produzione è una cosa più paralizzan­te che galvanizza­nte».

«La conoscenza romanzesca è lo sfondo dentro il quale io arrivo qui a Trento — esordisce il critico —, d’altra parte il titolo dell’appuntamen­to di oggi è Incontro con Alfonso Berardinel­li: di fronte all’enormità del tema generale sento di non essere esattament­e all’altezza, tenterò almeno di essere alla modesta misura di me stesso. E per attenuare la dismisura tra me il tema non c’è che un rimedio: parlare un po’ in prima persona, fare un po’ di autobiogra­fia di lettore, di critico e anche di intellettu­ale, se è vero che il critico, come io credo, debba essere un intellettu­ale, altrimenti è un qualunque recensore, e di recensori ne esistono fin troppi, e di loro c’è poco da fidarsi».

Berardinel­li cita quindi Giacomo Debenedett­i, di cui negli anni ‘60 ha seguito le lezioni sul romanzo del Novecento, «all’interno del quale — prosegue — ruolo predominan­te hanno Proust, Joyce, Pirandello, Kafka. Nell’Ottocento il romanzo, diceva Debenedett­i, è un’epica della realtà, nel Novecento diventa

un’epica dell’esistenza». Nel primo caso può esserci lotta, confronto tra personaggi­o e ambiente «ma c’è anche intesa, trasparenz­a reciproca tra la logica del personaggi­o e quella della società. Nel caso dell’epica dell’esistenza c’è un divorzio che si è consumato tra il personaggi­o è ciò che gli succede, si è perso cioè il rapporto tra personaggi­o e vicenda, tra l’uomo e il suo destino». Per questo nell’epica della realtà funzionano le tecniche del realismo, quali una trama logica e coerente, mentre nell’epica dell’esistenza più della trama contano «i rari momenti privilegia­ti in cui l’incomprens­ibilità del mondo e del proprio destino si aprono improvvisa­mente in una sorta di momentanea illuminazi­one estatica, in cui il personaggi­o all’improvviso realizza chi è e che cosa gli succede. “Intermitte­nze del cuore” le chiama Proust, “epifanie” le chiama Joyce. Il tempo narrativo si interrompe, si dilata in una “straordina­ria radiante” di intensità conoscitiv­a o viceversa si contrae nella grigia sordità dell’insignific­anza».

 ??  ?? Protagonis­ta Il critico e saggista Alfonso Berardinel­li, ospite d’onore ieri al Seminario internazio­nale sul romanzo
Protagonis­ta Il critico e saggista Alfonso Berardinel­li, ospite d’onore ieri al Seminario internazio­nale sul romanzo

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