La lezione di legalità si fa in carcere «Recuperare i detenuti utile a tutti»
Profiti: «Dalle regole democratiche il rispetto». Franzoia: «Conoscenza e prevenzione»
TRENTO Parlare, insegnare e imparare la legalità in carcere? Non è un ossimoro, ma la convinzione che ha portato la direzione della struttura di Spini, l’Associazione nazionale magistrati e il liceo Antonio Rosmini a organizzare ieri mattina un seminario sul tema, nella sala teatro dell’area detentiva della casa circondariale.
«Per noi educare alla legalità vuole dire educare alla cittadinanza» sostiene la preside Matilde Carollo. «Il rispetto della propria dignità e di quella altrui viene solo dal rispetto di una legalità democratica riempita di contenuti, dalla solidarietà all’inclusione di tutte le diversità» aggiunge il sostituto procuratore di Trento Pasquale Profiti. La «Notte bianca della legalità per gli studenti», promossa dall’Anm e ospitata oggi per la prima volta a Trento, ha così avuto ieri il suo prologo di fronte a quegli allievi che non possono lasciare la loro «scuola», i detenuti nella casa circondariale di Spini di Gardolo. Dove «non esistono i compiti a casa — come ha ricordato Antonella Valer, docente di diritto nella sezione del carcere del Liceo economico sociale — non perché non ci sia il tempo per farli, ma soprattutto perché non c’è una casa». Dove «non si poszione sono fare ricerche al volo in internet, perché non si è connessi» e in cui può capitare che non ci sia lezione perché «oggi c’è la perquisizione generale». Studenti che dai 24 insegnanti del Rosmini imparano italiano, inglese, tedesco, informatica e religione, ma cercano anche di conseguire la licenza media e il diploma liceale (e la Provincia sta cercando di introdurre il percorso alberghiero).
A loro Profiti e il procuratore aggiunto a Roma Rodolfo Sabelli hanno parlato di legalità e dell’importanza della consapevolezza e della valutaAll’alba della gravità dei crimini, compresi quelli economici commessi dai colletti bianchi. Al convegno sono intervenuti anche il presidente della Fondazione Franco Demarchi Piergiorgio Reggio e l’assessora Maria Chiara Franzoia, che ha sottolineato l’importanza del dialogo e dell’impegno civico fra il territorio e il carcere in termini di «prevenzione, conoscenza e presa in carico».
Oltre alla scuola, i detenuti possono contare sulla presenza di circa 300 operatori all’anno per il loro percorso rieducativo: l’amministrazione penitenziaria mette a disposizione un centinaio di posti di lavoro a rotazione bimestrale o trimestrale in entrambe le sezioni, maschile e femminile. Ci sono anche cinque cooperative che offrono percorsi di lavoro o tirocinio remunerati, laboratori tematici e sportelli informativi, di sostegno e consulenza.
«Le persone non devono essere lasciate sole, è importante che la comunità se ne faccia carico — conclude Valer — perché in carcere ci sono persone ricche di risorse, energia, umanità ed è interesse di tutti recuperarle e inserirle positivamente nella società».