Jùlius Koller, One Man Anti Show
La più vasta retrospettiva sull’artista slovacco morto dieci anni fa Dal 19 maggio a Museion oltre 600 tra opere e materiali d’archivio
Era il 2016 e Francesco Vezzoli definiva Museion: «Un’astronave trasparente atterrata tra le montagne». A un anno e mezzo di distanza sbarcano sul Talvera anche gli «Ufo», le «Operazioni Futurologiche Universali» dell’artista slovacco Jùlius Koller, deceduto poco meno di dieci anni fa. Jùlius Koller. One Man Anti
Show che verrà inaugurata venerdì prossimo (ore 19) a Museion è la più vasta retrospettiva mai dedicata a un artista che ha fatto dell’«antipolitica» una forma d’arte. Un artista capace di aggirare censure, autorizzazioni e conformismi ma, soprattutto, straordinariamente abile nel farsi gioco del consenso.
Koller nacque a Pieštany nel maggio del 1939, a due mesi dalla nascita della «Prima repubblica slovacca», Stato satellite del Terzo Reich. Al termine della Seconda guerra mondiale, la rinata Cecoslovacchia rimase uno Stato satellite, ma cambiò «centro di gravità» passando all’Unione Sovietica che, nel 1969, decise di invadere militarmente la Cecoslovacchia per porre termine alla sua «Primavera». Koller crebbe, quindi, in un contesto che non permetteva grandi illusioni. Fu forse per questo che, poco più che ventenne, lanciò i suoi «Anti Happening», ricca documentazione fotografica di una «situazione culturale». «Anti happening» in quanto «anti avvenimenti» rassegna di banali momenti di vita quotidiana e non di eventi particolari che qualcuno considerava degni di essere ricordati. Immagini che si trasformarono in cartoline da inviare ai più svariati destinatari per descrivere la «normalità» a scapito dell ’« eccezionalità ».
Qualche anno dopo, nel 1970, incominciarono a decollare gli «Ufo», le «Operazione futurologiche universali» in cui la realtà prima descritta veniva« inquinata» dall’ immaginazione. Strade, giardini e autoritratti incominciarono ad essere «contaminati», non solo da improbabili dischi volanti, palline e campi da ping pong e da tennis, ma anche e soprattutto da numerosissimi punti interrogativi.
Seguirono gli «anti-quadri», le gallerie fittizie in luoghi inaccessibili dei monti Tatra e molto, moltissimo altro che troverà posto nella ricca esposizione di Museion. Oltre seicento tra opere e materiali d’archivio, in parte mai presentati prima, che verranno esposti grazie alla cooperazione con il Mumok di Vienna e la Galleria Nazionale Slovacca.
Visto il contesto, molti hanno letto l’opera artistica di Koller in chiave «politica», ma non si può dimenticare come l’arte nata nell’Europa dell’Est tra il 1948 e il 1989 sia stata troppo spesso fraintesa perché letta con lenti che ingigantivano tematiche spendibili in Occidente a scapito del senso più profondo del percorso intrapreso dagli artisti dell’Europa orientale. Un travisamento ben illustrato da Klara
Kemp Welch nel suo Antipolitics in Central European Art: Reticence as Dissidence under Post-Totalitarian Rule, 1956–1989, un testo in cui non ha approfondito il lavoro di sei artisti dell’Europa orientale (tra cui proprio Koller) alla luce del loro rapporto con i vari regimi di oltrecortina, ma ha analizzato le differenti strategie utilizzate per esprimersi in un contesto in cui tutto veniva considerato «politico». A Est, come a Ovest. Si è quindi concentrata su diverse modalità espressive: sulla reticenza, sull’umorismo, sul dissenso e sul dubbio, rifacendosi in particolar modo agli scritti di Vaclav Havel, drammaturgo dissidente e, successivamente, Presidente della Repubblica Ceca. È proprio quest’ultimo a renderci Koller, non solo più «trasparente» e leggibile, ma soprattutto più «contemporaneo». «Nell’epoca delle crisi delle certezze metafisiche ed esistenziali — scriveva Havel — nell’epoca dello sradicamento dell’uomo, dell’alienazione e della perdita di significato del mondo, l’ideologia esercita una particolare suggestione ipnotica; all’uomo errante offre una casa accessibile basta assumerla e immediatamente tutto è di nuovo chiaro — la vita riacquista senso e dal suo orizzonte si dileguano il mistero e gli interrogativi, l’inquietudine e la solitudine».
Alienazione, interrogativi, inquietudine e solitudine, ovvero i temi al centro dell’intera opera di Koller e collegati a quell’«anti politica» di cui ha scritto Klara Kemp Welch e che l’artista slovacco ha declinato in «Anti happening», «Anti quadri» etc. Ma non si può dimenticare come tutti i regimi, anche i totalitari, necessitino di un minimo di consenso, quello che si ottiene diffondendo risposte pronte e facili e non certo distribuendo punti interrogativi. Da questo punto di vista, Koller ricorda il disadattato cronico più famoso della letteratura statunitense, quello creato da J.D. Salinger:. «Se fossi un pianista suonerei in uno sgabuzzino — affermava il giovane Holden —. Perché la gente batte sempre le mani per le cose sbagliate». Koller si limitava ad esporre le sue opere nel balcone di casa, ma in una delle sua rare e scarne dichiarazioni affermava: «Vorrei porre fine all’estetica, raggiungere una modestia proletaria. Esorto ad impegnarsi invece che adattarsi». Perché, come spiegava Vaclav Havel: «Chi si adatta alle circostanze le crea».
Pensiero Fece della antipolitica una forma d’arte I temi Solitudine e inquietudine nei suoi lavori