Davigo: «La legalità? L’Italia la può imparare»
Ilarda: «Solo dai baffi insanguinati riconobbi Borsellino. Le stragi ruppero l’indifferenza»
TRENTO L’Italia è un Paese in cui la legalità è molto approssimativa. A sedere sul banco degli imputati è, prima di tutto, la scuola. Piercamillo Davigo, presidente di sezione della Corte di Cassazione, membro dello storico pool di Mani Pulite e presidente dell’associazione nazionale magistrati, ha dialogato ieri con i ragazzi degli istituti superiori di Trento in occasione della Notte Bianca della Legalità.
«In Italia siamo convinti che ciò che è pubblico non ci appartenga. E questo modo di pensare ci viene inculcato fin da piccoli. Spiace dirlo, ma la scuola italiana spesso crea pessimi studenti e dunque pessimi cittadini poiché al suo interno insegna la slealtà» ha affermato il magistrato. «Negli Stati uniti vige il principio della competizione e, a differenza nostra, gli esami più imporno sono quelli di ammissione, non quelli finali. Questo è un grande insegnamento per la vita». Sono piccoli gesti, consuetudini ereditate nel tempo, a contribuire alla formazione di una cittadinanza spesso incivile e poco portata al rispetto delle regole. Dal copiare un compito in classe all’evasione delle tasse, il punto è sempre lo stesso: la mancanza di onestà. «Ma questo non vuol dire che non si possa cambiare. La soluzione è nella cittadinanza attiva, nel ricordarsi che l’Italia è la casa di tutti — ha chiarito Davigo agli studenti che per l’occasione si sono esibiti in canti, video, pièce teatrali e letture a tema legalità — Dobbiamo iniziare a indignarci quando vediamo qualcosa che non funziona. Non dobbiamo pensare che l’opinione pubblica non serva a nulla: del resto, il Parlamento degli inquisiti nel 1992 è stato quello che ha eliminato l’autorizzazione a procedere. E lo ha fatto perché la gente era infuriata, perché ha fatto sentire la propria voce». Ma forse, è la natura stessa del popolo italiatanti a far sì che qualcosa cambi solo a tragedia avvenuta. Accade quando crollano opere pubbliche, quando scoppia l’ennesimo scandalo tra politica e corruzione ed è accaduto finanche con le stragi mafiose.
«Solo attraverso i baffi insanguinati riconobbi Paolo Borsellino tra le macerie dell’attentato di via D’Amelio. Due mesi prima, un boato fortissimo mi sorprese facendo la spesa: era la strage di Capaci. Due avvenimenti che sconvolsero le vite di tutti, ma che paradossalmente servirono per scuotere le coscienze» ha ricordato infatti il procuratore generale della corte d’appello di Trento, Giovanni Ilarda, che proprio in quel periodo era in servizio a Palermo. «Fino ad allora, nella società imperava l’indifferenza. I cittadini pensavano che i morti non fossero affare loro. Solo le stragi hanno spazzato via il disinteresse. Purtroppo — ha concluso Ilarda — il pubblico non è di nessuno, specie al Sud».
Il sistema della corruzione, si intitola così il libro di Davigo. La corruzione è qualcosa di endemico per l’Italia? È possibile immaginare un Paese senza corruzione? A 25 anni da Mani pulite, che cosa è cambiato? La politica che ruolo ha in tutto questo? I politici dovrebbero darsi codici di comportamento? Questi alcuni dei quesiti che indaga.