Corriere del Trentino

Davigo: «La legalità? L’Italia la può imparare»

Ilarda: «Solo dai baffi insanguina­ti riconobbi Borsellino. Le stragi ruppero l’indifferen­za»

- Silvia Pagliuca

TRENTO L’Italia è un Paese in cui la legalità è molto approssima­tiva. A sedere sul banco degli imputati è, prima di tutto, la scuola. Piercamill­o Davigo, presidente di sezione della Corte di Cassazione, membro dello storico pool di Mani Pulite e presidente dell’associazio­ne nazionale magistrati, ha dialogato ieri con i ragazzi degli istituti superiori di Trento in occasione della Notte Bianca della Legalità.

«In Italia siamo convinti che ciò che è pubblico non ci appartenga. E questo modo di pensare ci viene inculcato fin da piccoli. Spiace dirlo, ma la scuola italiana spesso crea pessimi studenti e dunque pessimi cittadini poiché al suo interno insegna la slealtà» ha affermato il magistrato. «Negli Stati uniti vige il principio della competizio­ne e, a differenza nostra, gli esami più imporno sono quelli di ammissione, non quelli finali. Questo è un grande insegnamen­to per la vita». Sono piccoli gesti, consuetudi­ni ereditate nel tempo, a contribuir­e alla formazione di una cittadinan­za spesso incivile e poco portata al rispetto delle regole. Dal copiare un compito in classe all’evasione delle tasse, il punto è sempre lo stesso: la mancanza di onestà. «Ma questo non vuol dire che non si possa cambiare. La soluzione è nella cittadinan­za attiva, nel ricordarsi che l’Italia è la casa di tutti — ha chiarito Davigo agli studenti che per l’occasione si sono esibiti in canti, video, pièce teatrali e letture a tema legalità — Dobbiamo iniziare a indignarci quando vediamo qualcosa che non funziona. Non dobbiamo pensare che l’opinione pubblica non serva a nulla: del resto, il Parlamento degli inquisiti nel 1992 è stato quello che ha eliminato l’autorizzaz­ione a procedere. E lo ha fatto perché la gente era infuriata, perché ha fatto sentire la propria voce». Ma forse, è la natura stessa del popolo italiatant­i a far sì che qualcosa cambi solo a tragedia avvenuta. Accade quando crollano opere pubbliche, quando scoppia l’ennesimo scandalo tra politica e corruzione ed è accaduto finanche con le stragi mafiose.

«Solo attraverso i baffi insanguina­ti riconobbi Paolo Borsellino tra le macerie dell’attentato di via D’Amelio. Due mesi prima, un boato fortissimo mi sorprese facendo la spesa: era la strage di Capaci. Due avveniment­i che sconvolser­o le vite di tutti, ma che paradossal­mente servirono per scuotere le coscienze» ha ricordato infatti il procurator­e generale della corte d’appello di Trento, Giovanni Ilarda, che proprio in quel periodo era in servizio a Palermo. «Fino ad allora, nella società imperava l’indifferen­za. I cittadini pensavano che i morti non fossero affare loro. Solo le stragi hanno spazzato via il disinteres­se. Purtroppo — ha concluso Ilarda — il pubblico non è di nessuno, specie al Sud».

Il sistema della corruzione, si intitola così il libro di Davigo. La corruzione è qualcosa di endemico per l’Italia? È possibile immaginare un Paese senza corruzione? A 25 anni da Mani pulite, che cosa è cambiato? La politica che ruolo ha in tutto questo? I politici dovrebbero darsi codici di comportame­nto? Questi alcuni dei quesiti che indaga.

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Magistrato Piercamill­o Davigo (Rensi)

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