«La mia diversità attira il razzismo»
Kim è nata a Seoul ma è stata adottata a 4 anni. «Piscina e supermercato, tanti episodi»
TRENTO La diversità fa la differenza. Essere «diversi», estranei alla presunta normalità, può rendere più complesso il rapporto con se stessi e gli altri. Ma anche, ribaltando il discorso, può diventare una risorsa. «La diversità, che ha mille sfaccettature, dà riconoscimento, marca l’identità. La puoi capovolgere a tuo favore», racconta Nam Soon Kim D’Amato, autrice del blog Hello Kim. «Una sorta di specchio — lo descrive — di ciò che sono io, una persona comunissima con qualcosa fuori dal comune».
Nata 45 anni fa a Seoul, in Corea del Sud, residente con la famiglia in val di Cembra, Kim D’Amato è stata adottata da una famiglia trentina all’età di 4 anni. Italianissima dunque, ma con un aspetto esteriore «esotico» — le sue parole — che le ha comportato qualche spaesamento (risolto) e non le ha risparmiato alcuni episodi di razzismo nei suoi confronti. Un mese e mezzo fa, in piscina, un nuotatore le ha chiesto di cambiare vasca perché non voleva «nuotare con un cinese».
Quanto sono stati spiacevoli questi episodi denunciati nel blog?
«A dire la verità non pensavo di suscitare attenzione su questi fatti. Alla fine però mi fa piacere parlarne, per smuovere le acque. Prima però voglio spiegare la mia prospettiva. Io ho sempre rinnegato il mio aspetto fisico, fino a quando mi sono recata in Corea del Sud e là mi sono sentita doppiamente straniera. Finalmente, nessuno mi guardava, ma io mi sentivo estranea perché la gente mi parlava in coreano, lingua di cui io non so neanche una parola. La diversità è anche un elemento che respiriamo in famiglia. Mio marito, Maurizio, lavora per Anfaas con i ragazzi diversamente abili. I miei figli, Alberto di 15 anni e Stefano di 9, mi somigliano e sono sensibili a questo tema».
Anche loro vivono la complessità?
«Io li vedo sereni. Certo, anche loro devono fare i conti con questo elemento. Vedremo come sarà quando saranno più grandi. Io come mamma li seguo senza stare loro troppo addosso, lasciando che un po’ si misurino personalmente. Posso raccontare un episodio che è successo al supermercato».
Uno dei diversi momenti di derisione che ha e avete subito, come racconta nel blog?
«Sì. Eravamo in coda alla cassa e dietro di noi c’erano dei ragazzi, sugli 8-12 anni. Hanno cominciato a guardarci dicendo a mo’ di scherno “cinesin cin cin e ni hao, ciao in cinese”. Il cassiere era più imbarazzato di noi e siccome a loro alla fine mancava un centesimo, lui ha detto che non glielo abbuonava perché erano stati molto maleducati. Mio figlio Alberto allora ha detto: “Ve lo do io il centesimo ma se me lo chiedete in cinese, visto che pensate che siamo cinesi”. Mi è piaciuto».
Sempre nel blog cita un al- tro episodio nella sua esperienza ventennale di lavoro nel supermercato. Al banco dei salumi un cliente ha detto di non voler essere servito «da un cinese». Come se lo spiega questo sentimento dei trentini verso chi ha quella provenienza?
«Credo che sia per una percezione di minaccia. Le persone comuni vedono i negozi cinesi invadere il mercato, aprire dove le botteghe italiane chiudono. Temono l’invasione economica, commerciale. Il pensiero che loro riescono dove l’italiano fa fatica».
Ma com’è subire il razzismo sulla propria pelle, ad esempio in piscina?
«In realtà mi hanno dato più fastidio i fatti al supermercato. Mi sono chiesta se avrei dovuto protestare subito con il bagnino, ma avevo i figli vicino e non volevo se ne accorgessero. Devo dire che ora faccio la promoter sempre nei punti vendita e a Bolzano mi trovo meglio».
Cosa si intende, da dentro, per diversità e come l’ha accettata nel suo percorso di crescita?
«Per me la chiave di volta è stata l’accettazione. Capire che questa sono io, non mi posso cambiare. Quanto alla diversità, ha miliardi di sfaccettature, non solo i caratteri del viso, può riguardare qualsiasi cosa. Però uno la può capovolgere a proprio favore. Sei riconoscibile, nel male ma anche nel bene. Si ricordano di te».
Stavo nuotando e un uomo mi ha chiesto di cambiare vasca: non voleva stare con i cinesi In Corea mi sono sentita due volte straniera: niente sguardi, ma non sapevo la lingua