TERZA ETÀ, FAMIGLIE E NUOVE RSA QUANDO I VECCHI SONO NUMERI
«Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto, non si sa... non c’è posto per carità». Il simpatico motivetto dell’indimenticabile Modugno oggi risulta attuale per le difficoltà oggettive nel gestire una realtà complessa, come quella senile, che prima o poi coinvolgerà tutti. D’altra parte, come dichiarava il poeta latino Terenzio, «senectus ipsa est morbus», per cui raramente la vecchiaia non si associa a malanni fisici e a privazioni. Non è sempre facile, comunque, vincere certe resistenze all’assistenza «esterna» da parte di alcuni pazienti anziani che preferirebbero «la compagnia» diretta dei loro cari stretti parenti, ma onestamente sappiamo come impegni di lavoro, o più «semplicemente» (si fa per dire) esigenze di famiglia, rendano piuttosto arduo il porsi in toto al servizio dei più vecchi. Non sempre esiste, del resto, una stretta e fattiva collaborazione tra i figli, alcuni dei quali lamentano oneste circostanze di impossibilità a farsi carico del «problema». Non si tratta, tuttavia, di cattiva volontà o di disamorato sentimento filiale ma, in diversi casi, di una condizione di difficoltà oggettiva. Per fortuna poi, in ogni famiglia, non raramente si trova «l’anima buona di turno» che, anche con sacrifici personali in termini di tempo dedicato e di energie profuse, finisce per accollarsi gran parte «dell’oneroso» incarico. La badante ha peraltro dei costi non indifferenti e non alla portata di tutte le tasche (versamento contributi previdenziali, tredicesima, ferie e malattia); inoltre, sappiamo che quest’ultima non può, legittimamente per carità, superare le 54 ore settimanali e che ha diritto al riposo di 36 ore. Se un anziano è completamente non autosufficiente, ne rimane pertanto scoperta l’assistenza per numerose ore che richiederanno a loro volta il ricorso a un’altra badante, con altre spese. Qualcuno dirà: «Ci sono comunque le ben organizzate case di riposo», circa una sessantina in provincia di Trento a cui si aggiungeranno nei prossimi anni quelle in fase di costruzione. In realtà la domanda è piuttosto alta, l’offerta probabilmente è inferiore rispetto al bisogno effettivo. Sappiamo, almeno per ricordo personale di qualche anno fa (ma forse oggi la realtà è cambiata?), come ci sia un elenco «discreto» di persone in attesa che attendono una sistemazione permanente in una qualche struttura territoriale, le cui richieste di accesso non sono state ancora soddisfatte e alcuni, magari, in concomitanza con un quadro clinico generale non proprio confortante. Meno male, però, che esiste un angelo familiare, pronto a venire in soccorso.
Caro Riccadonna,
C iò che lei descrive è sotto gli occhi di tutti. L’invecchiamento della popolazione, associato al calo delle nascite, è ormai diventato un dato di fatto. Non capirlo significa farsi travolgere dagli eventi. Ragionare oggi unicamente in termini di nuove case di riposo, come se ciò volesse dire risolvere ogni problema, è sbagliato. Cito alcuni dati che ormai non sono nuovi ma che non sempre vengono ricordati quando si affronta il tema della terza età e della non autosufficienza. Il numero delle persone con più di 75 anni oggi raggiunge quota 57.186, fra 15 anni saranno 78.699, tra 25 ben 104.029. I posti letto in casa di riposo attualmente sono 4.575. Mantenendo la proporzione, tra 15 anni serviranno 6.296 posti letto (spesa di 181,4 milioni annui, più 280 milioni per la realizzazione di 21 Rsa). Tra 25 anni si arriverebbe a 8.322 posti letto (240 milioni di euro di spesa annua, più 610 milioni per la realizzazione di 46 Rsa). Davanti a un simile quadro, c’è da augurarsi che il Consiglio provinciale, dopo aver affossato il recente disegno di legge sulla doppia preferenza di genere, abbia un sussulto di responsabilità e valuti la riforma delle Rsa proposta dall’assessore Luca Zeni come un’occasione propizia per entrare nello specifico di una questione che attraversa gran parte delle famiglie. La proposta Zeni non va presa certamente a scatola chiusa, ma il dibattito politico deve andare oltre gli interessi di bottega, puntando al bene generale che è quello di offrire alle famiglie e agli stessi anziani un futuro dove l’integrazione tra i servizi sanitari e sociali sia una realtà effettiva e non più desiderata. Su questo terreno c’è poco da scherzare.