L’ HEAVY METAL MUSULMANO
Portare il velo e ascoltare la musica dei Queen: suonerà certamente come una contraddizione alle orecchie sospettose di chi si limita a vedere nell’islam una minaccia, non una cultura e una realtà complessa, sfaccettata. Ma non è certo così per Batul Hanife, la giovane psichiatra siro-trentina che ha recitato nel film documentario che sarà proiettato oggi al cinema Astra di Trento. Il film trae spunto da un libro del 2008 che ebbe una certa risonanza: «Porto il velo e adoro i Queen», pubblicato da Sonzogno e scritto da Sumaya Abdel Qader, un paio di lauree (prese in Italia), ora consigliere comunale a Milano e animatrice dell’associazione culturale musulmana Jusur («ponti»). Si tratta proprio di gettare ponti, di superare steccati poiché, come dice Batul Hanife nell’intervista concessa al Corriere del Trentino giovedì scorso, l’islam europeo esiste già: è l’islam dei giovani che non sono più «immigrati» ma cittadini dell’Europa.
Tali ponti si costruiscono anche facendo sapere che, per esempio, nel mondo musulmano vi sono numerose band rock e rap. Il ricercatore americano Mark LeVine, ancora nel 2008, pubblicava un libro, «Heavy Metal Islam», in cui indagava proprio il fenomeno dei gruppi musicali alternativi nei paesi arabi, chiedendosi se chi fa heavy metal può essere un buon musulmano. La risposta era ovviamente positiva, ma soprattutto metteva l’accento sul fatto che, anche nei Paesi musulmani, i paradigmi di comportamento stanno cambiando. In Egitto ha fatto furore per anni un tele-predicatore, Amr Khaled, che propugnava il messaggio del cosiddetto «islam di mercato»: «Arricchitevi!» era il suo slogan. Tanto più è evidente che nuove idee si plasmino in modo armonico in Europa dove l’islam è ormai intrecciato alla nostra cultura. «Dobbiamo smettere di giudicare gli altri in base ai nostri parametri soggettivi, liberarci dell’istinto della facilità con cui proiettiamo sugli altri quello che noi vogliamo essi siano», ha detto Hanife. Ma si deve essere ancora più recisi: superare l’idea dell’esistenza di un «pensiero unico» che obbliga a comportamenti uniformi. Il pensiero unico è quello degli estremisti di ogni ideologia, religiosa e non, che ritengono di possedere la «verità». Ma lo è anche quello di «democratici», come politologi di prestigio quali l’americano Francis Fukuyama, convinti non esservi alternativa al modello di via che conosciamo sul piano civile, dei costumi, dell’economia, della politica. In tal modo cancelleremo il futuro. E la complessità del pensiero si ridurrà alla banalizzazione dei twitter.