Un traffico su più livelli
Le varie cellule che compongono l’articolato sistema criminale integrato che si occupa di trasportare i migranti da un Paese all’altro si possono individuare solo con la collaborazione degli apparati di sicurezza e governativi delle nazioni di origine e dopo lunghe indagini di polizia giudiziaria. Indagini difficili sia per individuare capi e capetti dei vari gruppi di trafficanti che si spartiscono il mercato, sia gli addetti ai ruoli intermedi ossia i facilitatori, sia i passeurs, cioè i trasportatori di persone. Quello dei passeurs è il ruolo più esposto essendo maggiormente a contatto con i «clandestini» e quello più identificato nelle indagini, dato che spesso è colto nella flagranza del delitto.
Taluni analisti parlano anche di un quarto livello organizzativo facendo riferimento agli «utilizzatori finali» che ricevono i migranti e dal cui asservimento e sfruttamento traggono consistenti profitti. Naturalmente è difficile colpire i capi di queste organizzazioni soprattutto per le complicità e le coperture politiche di cui godono: intendo riferirmi, in particolare, alla Libia. È quanto ha ricordato poco più di un mese fa, Mohamed Haavy Sandu, leader della tribù dei Tebu («Il 15% delle persone adulte lavora nel traffico dei migranti, prima fonte di reddito») che il 30
marzo, con altri 59 capi clan e il vicepresidente del governo riconosciuto libico aveva partecipato all’incontro romano, tenutosi al Viminale, con il ministro
dell’interno Minniti. Una dichiarazione del genere avrebbe forse potuto indurre qualche pm ad aprire un fascicolo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nei suoi confronti. Stavolta non sarebbe stata una mera «ipotesi di lavoro».