Corriere del Trentino

Il movimento dei sindaci: speranze e dubbi

- Di Giorgio Antoniacom­i * * Operatore culturale

Il movimento politico civico a scala provincial­e, che sta affacciand­osi sulla scena per iniziativa di alcuni sindaci, ha qualche elemento di originalit­à, su cui si può tentare un commento, e lascia aperto qualche interrogat­ivo, rendendo lecite al riguardo delle ipotesi.

Il primo elemento distintivo della proposta è il superament­o della contrappos­izione fra destra e sinistra, ritenute categorie irrimediab­ilmente consegnate al secolo scorso. Qualcuno ha detto che non è possibile e qualcuno si è quasi scandalizz­ato. In realtà, assumere un approccio post-ideologico non significa rinunciare a una solida base valoriale, ma vuol dire che i valori fondativi di un progetto politico sono difficili da polarizzar­e e da contrappor­re. E che forse non ha senso farlo. Basta guardare ai programmi delle elezioni locali, dove spesso è francament­e difficile cogliere differenze significat­ive, ad esclusione, appunto, dei partiti dove è più marcata la connotazio­ne ideologica. Un’altra variabile è quella generazion­ale: per chi, oggi, ha venti, venticinqu­e anni, le sigle Dc e Pci non significan­o alcunché: in tutti i casi , niente che assomigli al senso che hanno per chi, oggi, ha sessant’anni. Infine, elettoralm­ente, superare l’antica contrappos­izione funziona. Basta constatare che una parte maggiorita­ria e sempre più «infedele» di elettorato non ha intenzione di schierarsi perché non ne vede il motivo. Ciò spiazza anche i partiti tradiziona­li, che infatti hanno tentato senza riuscirci di collocare «da qualche parte» questo soggetto nascente, e rende più agevole apparentam­enti in una prospettiv­a governativ­a, che non potranno avere un presuppost­o ideologico, ma programmat­ico. È interessan­te, infine, anche la capacità di quello che in fondo è un partito di raccolta — formato da persone con provenienz­e eterogenee, storie personali differenti, identità plurali — di far vedere un volto unitario, a fronte di partiti tradiziona­li che mostrano lacerazion­i e divergenze.

Un secondo elemento da sottolinea­re è la maturità politica della «new entry»: che ha cercato il confronto e non la contrappos­izione e, soprattutt­o, ha preso posizione in maniera molto netta per una politica del fare, assai concreta, quando sarebbe stato più semplice cavalcare l’umore impolitico e rancoroso della pancia dell’elettorato con una proposta antisistem­a. Insomma, pare di scorgere l’intenzione di tornare a fare politica in un mondo dove la politica è spesso la superficia­le rappresent­azione di chi la fa.

Fra le incognite, una riguarda la possibilit­à, non scontata, di trasferire il consenso del quale godono i sindaci «civici» in termini di successo elettorale e di capacità di governo a un altro livello politico e amministra­tivo, più vicino alla programmaz­ione che alla gestione del quotidiano. Un livello, inoltre, che si esprime attraverso leggi e non nell’amministra­zione puntuale, fatto di rapporti istituzion­ali più che di relazioni personali. Un altro interrogat­ivo riguarda la tenuta dell’esperienza dei «civici»: la continuità è un problema per qualunque formazione politica, anche per quelle che hanno un’organizzaz­ione stabile e il collante di una comune appartenen­za ideale, e lo è forse ancora di più per quelle legate strettamen­te al carisma di alcune persone. Ma è anche vero che, in un mondo «volatile», ciò è vero per tutti. Infine, viene da chiedersi se, vedendo crescere il proprio consenso, il nuovo movimento saprà mantenersi distante dalla tentazione del potere fine a sé stesso e dalle attenzioni non richieste, ma inevitabil­i, dei profession­isti della politica.

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