CONVENZIONE, VITTORIA DI PIRRO
La finalità istituzionale della Convenzione di Bolzano consiste nell’elaborare e rivolgere «proposte» di riforma al consiglio provinciale di Bolzano — in via mediata, a quello di Trento, poi a quello regionale e, in ultima battuta, al parlamento italiano — per una revisione dello Statuto speciale.
Tali proposte possono essere coerenti con una logica dichiarativa o, in alternativa, con una negoziale: nel secondo caso si tratta evidentemente di ipotizzare interventi di riforma della configurazione organizzativa del governo dell’autonomia, della titolarità di competenze, dei rapporti con lo Stato (con particolare riguardo alla definizione degli assetti finanziari), in un quadro di garanzia per quei gruppi linguistici — il tedesco e il ladino — che sono minoranze nel contesto nazionale, nonché per il gruppo linguistico italiano che nella realtà provinciale — insieme ai ladini — rappresenta invece il gruppo minoritario.
Nel caso di una logica riformatrice meramente dichiarativa, all’opposto, l’obiettivo è di rappresentare una visione del tutto astratta rispetto a un atteggiamento di realismo politico, di enunciare prospettive di carattere essenzialmente ideologico ed estranee a ogni potenziale di mediazione politica, di precostituire la premessa per costanti e future rivendicazioni fondate su accuse di inadempienza circa la garanzia dei diritti. Nel contesto di tale dicotomia è agevole collocare, da un lato, la tenace rivendicazione del riferimento al concetto di «autodeterminazione» nel preambolo dello Statuto riformato e, dall’altro, la costruzione articolata — e non meno ambiziosa — di un assetto di autonomia forte, avanzata, compiuta che certamente, se accolta e formalizzata, andrebbe molto al di là dell’attuale autonomia speciale. Il concetto di autodeterminazione è essenzialmente ambiguo: se impiegato nell’ambito del diritto internazionale, esso si connette alla nozione di popolo (giuridicamente non definito), di secessione e di sovranità, riconducibile al processo storico di uscita dalla colonizzazione; se, invece, il riferimento all’autodeterminazione si svolge nell’alveo del diritto costituzionale, il suo significato è sinonimo di autonomia, si applica alle minoranze nazionali e si giustifica proprio in alternativa all’autodeterminazione con un valore compensativo. Non si può non riconoscere come la popolazione sudtirolese abbia subito una serie di traumi politici e culturali, dall’annessione, alle opzioni, al primo statuto di autonomia.
Pertanto è comprensibile come, sul piano ideologico e politico, la vocazione all’autodeterminazione sia ancora viva e venga anche trasmessa alle giovani generazioni. Ma sul piano normativo, sia pure in un preambolo, non si può transigere dalla definizione di un quadro coerente di priorità: non si può essere allo stesso tempo popolo e minoranza nazionale, non si può rivendicare sia l’autodeterminazione che l’autonomia integrale, non si può celebrare l’anniversario della chiusura della vertenza internazionale con la significativa presenza dei due presidenti austriaco e italiano e disconoscere all’Austria il ruolo di garante di un patto internazionale quale l’accordo Degasperi-Gruber, che vincola non solo l’Italia, ma entrambi gli Stati. La prevalenza della logica dichiarativa, inoltre, può comportare un rilevante indebolimento della logica negoziale sulla base della quale (tentare di) realizzare un superamento della stessa vigente autonomia speciale: la nuova titolarità di competenze esclusive assistite da norme di attuazione attraverso le quali l’autonomia stessa parteciperebbe alla definizione dell’interesse nazionale differenziato con riguardo all’Alto AdigeSüdtirol, una radicale rivisitazione dell’attuale ruolo della Regione, la soppressione della figura del Commissario del governo dovrebbero essere obiettivi — sostanziali e simbolici — da tutelare nei rapporti con Roma (insieme, auspicabilmente, a Trento e magari anche con l’assistenza austriaca) senza formalizzare la pretesa provocatoria volta a ottenere che una legge costituzionale della Repubblica italiana — ché questo è lo Statuto speciale –—proclami il diritto all’autodeterminazione di una parte del proprio territorio. La logica negoziale, tanto più quanto più ambiziosi sono gli obiettivi, esige credibilità e la credibilità chiama realismo. La vittoria in seno alla Convenzione potrebbe tradursi in una vittoria di Pirro: il rischio è addio autodeterminazione, ma anche addio potenziamento.