Corriere del Trentino

La grande impresa di de Bertolini verso il finale

Partito dalla California, lo storico trentino è già arrivato in Canada La solitudine comincia a farsi sentire: «Ora penso a voce alta»

- di Margherita Montanari

TRENTO

Il viaggio lento, di questi tempi, è diventato l’antidoto più genuino ai ritmi frenetici della vita lavorativa. Il silenzio — che spesso lo accompagna — ripulisce i timpani ed amplifica l’immensità della natura circostant­e. Per girare il mondo in solitaria, coniugando lentezza e silenzio, aggiungend­o un tono di sfida, Alessandro De Bertolini ha scelto la bicicletta. Un iter cominciato due mesi fa, seguendo la colonna vertebrale degli Stati Uniti, le Montagne Rocciose, da lui definito «sempliciss­imo, senza velleità, solo la voglia di viaggiare», ma che dall’esterno appare un’impresa per titani.

È partito da San Francisco e terminerà il viaggio in Canada, dopo aver pedalato per 6.000 chilometri e superato, tra salite e discese, quasi quattromil­a metri di dislivello. Ha già attraversa­to sette stati, passando dal deserto della California ai Parchi di Sequoia, dalla Death Valley al Grand Canyon, dall’iconica Route 66 alla Città fantasma, dalla riserva dei Piedi Neri a Yellowston­e. Ed è arrivato in Canada, sulle sponde del Fraser Lake, nella British Columbia. Bike the History non è solo il blog creato col supporto di Montura Editing, Real Web e Saidea per documentar­e il viaggio, è un modo per «girare il mondo con la bici sui luoghi dell’uomo, della storia, della natura», aveva detto De Bertolini a maggio.

Nei mesi non si è smentito, e ha reso partecipi dell’avventura — virtualmen­te — gli spettatori da casa, unendo fotografie e riprese da togliere il fiato , al diario di viaggio, a frammenti di leggende popolari legate alle Rockies.

La bici. Una tenda e un sacco a pelo per dormire. Una webcam per filmare. Litri di acqua e un bicchiere con la cannuccia dal quale bere latte — sì, proprio latte — per affrontare le lunghe pedalate. Lo stretto necessario per permettere alle gambe di spingere e alla meper moria di imprimersi su carta e display. De Bertolini ha raccontato di un tempo che scorre lento, scandito dalle fasi solari della giornata, ma anche degli imprevisti che lo hanno costretto a cambiare i piani in corsa. Come la tempesta di sabbia con venti fino a 100 km orari che gli ha impedito di proseguire nelle ore diurne all’interno della valle della morte, obbligando­lo a una pedalata notturna.

Alessandro sorride quando dice che, trascorren­do la maggior parte del viaggio in solitaria, ha «cominciato a pensare a voce alta». Ma nonostante la desolazion­e di quei luoghi, «di cui silenzio è forse il principale protagonis­ta», la due ruote del trentino non è passata inosservat­a e ci sono stati anche momenti di confronto con persone del posto e turisti di passaggio.

Sulla pagina facebook, creata per raccontare il viaggio intrapreso, compaiono i commenti di chi ha incontrato De Bertolini rimanendo meraviglia­to dalla sua impresa. Espression­i di ammirazion­e, le più diffuse: chi si congratula l’impresa di salire fino a 3.000 metri con una bicicletta carica, chi incita Alessandro a proseguire, chi è contento che la propria strada si sia incrociata con quella del trentino, chi si scusa per non aver potuto offrire di più al ciclista.

Dopo più di due mesi di pedalate sulle Rockies, per De Bertolini si avvicina il giorno del ritorno in Trentino; un momento chiave che, come diceva lui stesso all’inizio dell’impresa, fa la differenza tra il viaggio e il vagabondag­gio.

Al limite Già attraversa­ti sette Stati per una strada lunga 6.000 chilometri Il latte l’arma segreta

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Fatica Alessandro De Bertolini ha voluto regalarsi un viaggio fuori dal comune

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