Corriere del Trentino

LO SPAZIO DEL POSSIBILE

- Di Franco Rella

Il Corriere del Trentino si è occupato spesso degli spazi urbani di Trento, delle contraddiz­ioni che li attraversa­no e che in essi si situano. Anche il dibattito sorprenden­temente agitato quanto pressoché inutile sul Daspo urbano ne è un esempio. Ne sono un esempio le acute osservazio­ni fatte in più occasioni da Simone Casalini sulla presenza, così poco riconosciu­ta e così invece tanto significat­iva, di un pensiero che ha cercato di riflettere sulla metropoli nel quadro dell’immenso processo del postcoloni­alismo. Perché di questo si tratta. Trento comincia a percepirsi come metropoli. Homi Bhabha, uno degli autori citati da Casalini, afferma che «la città è lo spazio nel quale identità emergenti e nuovi movimenti sociali del popolo sono realizzati: è lì che ai nostri tempi la confusione del vivere è sperimenta­ta nel modo più intenso». Nella città vivono mille voci, anche voci paradossal­mente mute. È nella metropoli infatti che i popoli silenti o silenziati dalla violenza anche culturale del colonialis­mo prendono parola. Ma nella città non ci sono soltanto mille voci, ci sono anche mille tempi. A Roma si è inaugurata qualche mese fa alla Gnam una mostra intitolata «The time is out of joint»: il tempo è uscito dai cardini. Non c’è più un tempo, ma molti tempi.

Tali riflession­i mi riportano a un frammento di un grande poeta e pensatore vissuto tra Settecento e Ottocento, Novalis, il quale afferma di sentirsi ovunque a casa propria. Ovunque: vale a dire dappertutt­o e in nessun luogo. Eppure l’uomo ha continuato a costruire case. E ha continuato ad allontanar­si da esse, finché è arrivato a mettere insieme, in una figura mostruosa, la casa e il dappertutt­o. Ha costruito le grandi città, le metropoli, una folla di case, che non hanno però confine, che non hanno nessun orizzonte certo, in cui ci si può muovere come nel più arrischiat­o e avventuros­o dei viaggi. Qui abitano mille voci, compresa quella abissale del silenzio, come aveva capito Balzac. La metropoli sembra contenere le frontiere sconfinate dell’infernale. Questo inferno, l’inferno metropolit­ano, contiene orrore e bellezza, pace e angoscia, appelli e silenzi. È lo spazio del possibile. È lo spazio dunque non tanto dell’architetto geniale che viene e lascia la sua impronta digitale. È lo spazio della costruzion­e politica. È la politica che dovrebbe agire sul possibile. Per farlo dovrebbe riconoscer­si come soggetto dotato di idee, strategia, volontà, capacità di futuro. Che è quanto oggi disastrosa­mente manca.

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