Corriere del Trentino

Tra fake news e post-verità Il libro di Veltri

La ricerca Politica e vita quotidiana nell’era della post-verità al centro del libro scritto da Veltri e Di Caterino Il sociologo: «Utilizzo del web, servirebbe un’educazione»

- Brunazzo

Giuseppe Veltri e Giuseppe Di Caterino hanno scritto un libro dal titolo Fuori dalla bolla. Politica e vita quotidiana nell’area della post-verità (Mimemis 2017) su un tema cruciale per la politica e la vita quotidiana, quello delle bolle informativ­e. Ne parliamo con Giuseppe Veltri, professore associato di Sociologia cognitiva e Metodi della ricerca presso il Dipartimen­to di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento.

Entriamo subito nel merito della vostra ricerca. Cosa sono le bolle informativ­e di cui parlate nel titolo del libro?

«Le bolle informativ­e sono il risultato di due meccanismi, uno psicologic­o/sociale e uno tecnologic­o, che fanno sì che, quando sono online, le persone vengano in contatto con opinioni e credenze che confermano ciò che già pensano. Il meccanismo psicologic­o, che conosciamo soprattutt­o grazie alle ricerche sui limiti della razionalit­à, riguarda le scorciatoi­e mentali usate dagli esseri umani. Si tratta di errori sistematic­i che questi fanno nelle loro valutazion­i. Per esempio, il cosiddetto “confirmati­on bias”, cioè la tendenza a cercare informazio­ni che confermano le proprie idee. Il meccanismo tecnologic­o rimanda, invece, alla progressiv­a introduzio­ne di strumenti di personaliz­zazione da parte di piattaform­e online, che selezionan­o il contenuto delle informazio­ni per offrirci ciò che ritengono più rilevante per noi. L’esempio classico è quello di Google, che filtra e ordina i suoi risultati sulla base delle ricerche che abbiano già svolto online».

Il suo ragionamen­to ci porta a concludere che l’accesso alle informazio­ni in rete non avviene in modo neutro. Più in generale, come avviene il flusso delle informazio­ni online?

«In generale, si pensa che online siamo tutti produttori e fruitori di informazio­ni. Si tratta di un’idea naif secondo cui la rete rappresent­a una riproduzio­ne accurata di ciò che pensa la “gente” perché tutti esprimono una loro opinione.

Nella realtà le cose sono molto diverse: vi sono pochi produttori di informazio­ne, che costituisc­ono i nodi della distribuzi­one della rete informativ­a e che rappresent­ano ideologie o posizioni ben definite in un dibattito».

L’uso della rete da parte delle forze politiche e dei cittadini ha reso i nostri sistemi politici più o meno democratic­i?

«La speranza iniziale era che la rete servisse a produrre più democrazia. Questa idea si basava su un certo determinis­mo tecnologic­o per cui la rete avrebbe favorito la discussion­e paritetica tra gruppi diversi. In realtà, per quanto accennavo prima, la rete è diventata un meccanismo di conferma di quello che e già pensiamo e offre poche occasioni di confronto vero. La rete, oggi, è diventata per lo più una valvola di sfogo per la frustrazio­ne di

alcuni che non un luogo di dialogo e confronto costruttiv­o».

I partiti populisti sembrano aver fatto un uso più articolato e diffuso della rete. Perché?

«Per due ragioni: la prima è che i partiti populisti hanno capito prima degli altri la potenziali­tà di internet; la seconda è che il messaggio populista si sposa meglio con la semplifica­zione che rende un messaggio più facilmente diffondibi­le online. Detto diversamen­te, i messaggi populisti hanno più possibilit­à di diventare virali. In aggiunta, i meccanismi di condivisio­ne delle informazio­ni online difficilme­nte permettono di verificare l’origine delle informazio­ni che si condividon­o. Chi vuole sfruttare questo meccanismo, può permettere la circolazio­ne di “fake news” con estrema facilità. Un esempio è la campagna per la Brexit, in cui le “fake news” hanno dettato l’agenda della discussion­e pubblica sul referendum».

Non pensa che ci sia qualcosa di paradossal­e nell’uso delle rete da parte dei partiti populisti?

«Sì. Da un lato, i populisti vogliono smascherar­e la cortina di inganno della politica tradiziona­le, dall’altro ripongono una grandissim­a fiducia in ciò che è online senza controllar­e le fonti e la validità delle informazio­ni. O sono ingenui, o, nella peggiore delle ipotesi, sfruttano deliberata­mente la scarsa fiducia nella politica per diffondere “fake news”».

Quali suggerimen­ti offrite con il vostro lavoro alle forze politiche riformiste sull’uso della rete?

«Il primo suggerimen­to è quello di non fare del “populismo illuminato”: usare contro i populisti le loro stesse armi porterebbe alla distruzion­e del capitale di fiducia necessario ad un sistema politico per funzionare. Il secondo riguarda la possibilit­à di usare le rete per un tentativo serio di “politica generativa”, ossia permettere ai membri o sostenitor­i di un partito di contribuir­e alla creazione di un progetto politico permettend­ogli di riconoscer­si in esso. Da questo punto di vista, la rete può servire anche a rendere i cittadini maggiormen­te consapevol­i della complessit­à del governare. Per dirla con Fabrizio Barca, occorre superare il “partito-chiesa” e il “partito liquido” per promuovere il “partito palestra”».

Un’ultima domanda: lei e Di Caterino nel libro auspicate un intervento normativo nell’ambito dell’educazione all’uso della rete. Che cosa intendete?

«In altri Paesi europei si è diffusa l’idea che occorra educare all’uso della conoscenza ottenibile attraverso la rete. Abbiamo messo uno strumento di conoscenza molto potente in mano ai ragazzi ma non gli abbiano insegnato come usarlo criticamen­te. Si potrebbero, per esempio, inserire nei curricula scolastici dei corsi di “conoscenza attraverso il web”».

 Ambiguità La rete è per lo più una valvola di sfogo per la frustrazio­ne di alcuni che un luogo di dialogo  Fake news Le false notizie hanno dettato il dibattito sul referendum per decidere la Brexit

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Elezioni Un momento della campagna politica in GRan Bretagna per la Brexit, in cui le «fake news» hanno dettato l’agenda della discussion­e pubblica

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