«Non si accetta l’autodeterminazione della donna»
La sociologa Poggio: «Quasi sempre l’origine del problema è culturale, non patologica»
TRENTO Il termine è storia recente. Il fenomeno ha tuttavia manifestazioni lontane. Dietro al femminicidio, all’uccisione della moglie, della fidanzata, dell’ex compagna, Barbara Poggio individua «radici sociali e culturali», «modelli fortemente asimmetrici», «difficoltà ad accettare l’autodeterminazione della donna fuori dalla coppia». Sociologa, prorettrice con delega all’equità, la docente risale alle origini della violenza di genere che, così come accaduto a Tenno, a volte deflagra repentinamente e nella sua forma più estrema: l’omicidio. «Se le origini sono culturali — dice — la via maestra della prevenzione è la scuola, per educare
alla diversità».
Professoressa, oggi il termine femminicidio è entrato con prepotenza nel lessico comune. È il segnale di un’attenzione maggiore al fenomeno della violenza contro le donne?
«La parola è relativamente recente, ma non indica un fenomeno nuovo: l’uccisione delle donne in quanto donne avviene purtroppo da sempre e ha a che fare con le differenze di potere, con i ruoli sociali. Un fenomeno difficile da misurare, anche se oggi è entrato nelle statistiche. L’Oms stima che una donna su tre — nel mondo — una abbia subito violenza almeno una volta nella vita, l’ultima indagine dell’Istat relativa al 2015 parla di 7 milioni di italiane che hanno subito violenze nel corso della propria esistenza e il 10% ha subito abusi sessuali prima dei sedici anni. Dati pesanti, tuttavia parziali perché le denunce, ossia i casi emersi, sono una quota minoritaria».
Quali sono i fattori che originano la violenza domestica e l’omicidio della propria compagna?
«Si può cominciare a dire che quasi mai si tratta di episodi legati a malattia, consumo di sostanze o momentanee instabilità psichiche dell’aggressore: si stima che solo il 10% dei casi siano collegabili ad abuso di sostanze o patologie, dunque una quota marginale. Gran parte degli studi fanno piuttosto riferimento a fattori di carattere culturale. Dietro alla violenza di genere e ai femminicidi ci sono modelli fortemente asimmetrici, l’incapacità degli uomini di accettare la libertà delle donne e il senso di possesso. Troviamo così un elemento di continuità ma anche di differenza rispetto al passato. Ora le donne sono più autonome, più libere e l’autodeterminazione femminile al di fuori della coppia genera un processo di assoggettamento che sfocia in episodi di violenza o in epiloghi ancora più tragici».
Se le radici sono tanto profonde, come si può intervenire e prevenire?
«Se il problema è culturale bisogna agire lì e non c’è dubbio che la strada maestra risiede nelle potenzialità delle agenzie educative, a partire dalla scuola. Dobbiamo comprendere l’importanza di lavorare sul rispetto della differenza, sul riconoscimento dell’autonomia delle persone, aiutando ragazzi e ragazze a leggere e decodificare i messaggi. Anche i media hanno una responsabilità, troppo spesso veicolano modelli fortemente tradizionali».
Che fare Dobbiamo lavorare sul rispetto dell’autono mia delle persone