«Famiglia, scuola, giochi Modelli culturali erronei» Il monito di Sartori
Poggio Occorrono percorsi di socializzazione e educazione al genere Ghizzoni Su precarietà e conciliazione deve intervenire la politica
TRENTO L’eterna pulsione che porta a una divisione manichea esiste e resiste. Rosa e azzurro, grazia e forza, dolcezza e virulenza. Il germe delle asimmetrie di genere s’innesta persino nei giochi infantili, trascinandosi silenziosamente fino all’età adulta. «I maschietti hanno a disposizione giochi tecnologici, che stimolano aggressività, competitività, innovazione; per le femminucce è sempre coinvolta l’affettività oppure l’accudimento», ha rimarcato ieri Francesca Sartori, docente del dipartimento di Sociologia e ospite del convegno «Donne e scienza».
Ingegneria, chimica, matematica, fisica, informatica: le carriere scientifiche registrano ancora oggi lo squilibrio di genere più evidente. Un inghippo nella rappresentanza che, ha spiegato Sartori, trova origine nei modelli culturali diffusi nella nostra società. «Nella famiglia, nella scuola, nei mezzi di comunicazione, fino ai diversi giochi che vengono proposti a bambini e bambine, che in qualche modo accompagnano le scelte di vita futura». Quelle sottili e implicite indicazioni ludiche si riflettono, a detta di Sartori, nella percezione delle donne circa le proprie possibilità di realizzazione. Una sorta di auto-frustrazione. «In questa direzione, l’orientamento scola- stico e gli interventi già in età prescolare e scolare possono svolgere un ruolo fondamentale — ha aggiunto — Un passo importante può essere l’investimento in formazione sulle questioni di genere rivolto al corpo insegnante perché possa svolgere un’attività di orientamento più equilibrata ed efficace».
L’educazione e la formazione degli insegnanti stessi è anche una delle priorità dell’università di Trento. Il Piano di azioni positive 2017-2019 per promuovere l’equità e la diversità, ha sottolineato la prorettrice Barbara Poggio, passa attraverso «percorsi di socializzazione ed educazione al genere con scuole e famiglie, progetti di formazione per aiutare a superare i pregiudizi e incontri sul territorio».
Lo sforzo non è fine a sé stesso. «I gruppi eterogenei sanno affrontare meglio le sfide del futuro perché sono per loro struttura potenzialmente più innovativi» ha sottolineato l’onorevole Manuela Ghizzoni (Pd). Che poi ha ampliato il suo ragionamento: «Se reclutiamo 8.000 ricercatori, ma 7.900 sono uomini non facciamo un buon servizio al Paese». Quanto agli ostacoli da abbattere, Ghizzoni ha indicato il fardello della precarietà, unita alle scarne possibilità nella conciliazione. «È qui — ha concluso — che la politica deve agire».