Ateneo rosa, bene gli incentivi
Docenti donne, piace la linea del rettore. Le storie di Begüm, Ilaria e Cinzia
All’università di Trento ci sono 23 professori ordinari donne, su un totale di 179. Tra gli associati sono 86 su 279. Cinque le docenti o ricercatrici nel Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’informazione (Disi). Ma per Ilaria Pertot, prima direttrice del nuovo Centro agricoltura alimenti ambiente, si può fare di più. «Asili aziendali, telelavoro, flessibilità: l’equilibrio di genere si raggiunge creando le condizioni per un bilanciamento reale».
TRENTO Begüm Demir sfila dalla borsa il Pc e mostra alcune immagini catturate dalle «sentinelle satellitari» del suo progetto di ricerca. «I dati raccolti sono necessari per comprendere lo stato di salute della terra e intercettare, per esempio, i cambiamenti climatici in corso», spiega cercando d’essere chiara persino con gli interlocutori meno esperti di Big Data. Trentatré anni, turca, laurea a Kocaeli, dottorato a Kulis, poi post-doc all’università di Trento, in agosto l’abilitazione alla docenza di seconda fascia. Pochi giorni fa il suo progetto «Big Earth» ha ricevuto il prestigioso University European Research Council (Erc) Starting Grant. È formalmente l’unica ricercatrice straniera ad aver scelto l’Italia (Trento, nello specifico) per proseguire lo studio. Ancora: il suo progetto è l’unico in Europa nell’ambito del Computer Science ad aver ottenuto l’agognato finanziamento. «Su ventuno candidati, nel mio settore, le donne erano solo tre», ricorda Demir. In un segmento prettamente maschile s’è fatta strada e, beffando le statistiche, oggi infoltisce il palmarès del Dipartimento di ingegneria e scienze dell’informazione (Disi) che ospita 5 donne appena su 42 fra docenti e ricercatori.
Tra le scienze dure
È una storia, quella di Demir, che rappresenta solo uno dei tanti volti femminili della ricerca d’eccellenza dell’università di Trento. Nelle scienze dure, perlopiù popolate da professori e ricercatori, così come nelle discipline umanistiche, storiche, giuridiche: l’elenco di chi brilla nelle competizioni scientifiche internazionali è trasversale. Docente di patologia vegetale, ordinaria al dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica, Ilaria Pertot è la prima direttrice del nuovo Centro agricoltura alimenti ambiente (C3A) ideato da ateneo e Fondazione Mach. Un progetto talmente stimolante da farle accantonare lusinghieri incarichi all’estero: «In Belgio e in Svizzera le politiche di conciliazione e i servizi offerti rendono tutto più semplice», riflette ricordando la qualità della vita a Bruxelles per le lavoratrici. «Asili aziendali, telelavoro, flessibilità: l’equilibrio di genere si raggiunge anche in questo modo, ossia creando le condizioni per un bilanciamento reale». Esperta di biopesticidi e metodi non chimici per curare le piante, Pertot ha all’attivo quattro brevetti. Tra questi un biofunghicida commerciale, una sorta di cerotto che interviene sulle ferite delle piante.
Pertot è anche la prima donna a ricoprire la carica di vicepresidente dell’International Organisation for Biological Control (Iobc-wprs), un’organizzazione scientifica internazionale che si occupa di promozione delle alternative biologiche ai pesticidi. «Al di là del mio caso, mi rendo conto che la presenza femminile ai vertici sia tuttora molto rara: il passaggio da quadri a dirigenti è più complicato». Il dato è ormai noto: con il progredire della carriera accademica la rappresentanza femminile sfuma.
Come invertire la tendenza allora? Pertot pensa a «politiche di incentivazione nel reclutamento del genere meno rappresentato, sempre basate sul merito». Una strada che il rettore Paolo Collini ha annunciato di perseguire. «Penso ai risultati raggiunti negli Stati Uniti con l’affirmative action — aggiunge Pertot — Un percorso transitorio, che spinga al cambiamento attraverso premi e co-finanziamenti, potrebbe avere effetti positivi persino sulle studentesse che avrebbero più modelli di riferimento».
Dalla Turchia
Mentre Pertot discute con energia, prima delle proprie vittorie scientifiche poi del contesto ancora complesso per la ricerca italiana, Begüm Demir ascolta con attenzione. L’Erc vinto pochi giorni fa è un traguardo tutt’altro che marginale per una ricercatrice di 33 anni. «Nel corso della mia carriera — premette — non ho mai incontrato particolari ostacoli per l’essere donna in un contesto prettamente maschile. Piuttosto i miei problemi avevano a che fare con lo scarso supporto nei miei progetti: criticità che accomunano tutti i giovani ricercatori in Italia, al di là del genere». Persino questi steccati, specie nelle risorse a disposizione, ora troveranno risoluzione: «Grazie all’Erc tutto sarà più semplice», rimarca. La sua ricerca — «Big Earth» è il titolo — prevede la gestione dei dati raccolti tramite satelliti che sorvolano la terra e ne monitorano il benessere: ogni cinque giorni si completa il giro del globo, potendo confrontare le statistiche con intervalli brevi e precisi. Presto il progetto sarà illustrato all’Esa, l’Agenzia spaziale europea. «Ciò che mi interessa è affinare la metodologia», spiega Demir che malgrado la giovane età vanta oltre settanta pubblicazioni.
Biodiritto
Dalla collina al polo cittadino. Cinzia Piciocchi, ricercatrice e docente di diritto pubblico a Giurisprudenza, dedica la sua attività accademica ai due grandi filoni che interrogano il nostro tempo: biodiritto e pluralismo culturale. È in quest’ultimo ambito che, attualmente, Piciocchi sta ultimando un volume dedicato alle scelte delle persone in tema di cibo, abbigliamento e tempi dei riti. «Analizzo come le corti affrontano tali scelte quando sono “diverse” rispetto a quelle della maggioranza, per esempio la richiesta di cibo kosher o halal nelle carceri — spiega – Oppure quando sono del tutto nuove». Muovendo i passi da una premessa («La nostra società si sta frammentando e continuerà a farlo»), la docente studia quel processo, certamente complesso tuttavia necessario, d’intreccio culturale, di adeguamento, di assestamento. «S’è detto che il multiculturalismo, inteso come convivenza senza punti d’incontro, sia fallito — dice — Piuttosto ciò che deve innestarsi è una vera e propria negoziazione». Alla pari s’individua uno spazio comune, neutrale, che non intacchi né l’uno né l’altro. «Per farlo — conclude — è necessario distinguere i fondamenti giuridici della nostra identità da quelli che sono i nostri costumi, passibili di un cambiamento». Che, per definizione, non lede i capisaldi culturali a cui siamo legati.
Con l’affirmative action negli Usa raggiunti buoni risultati e offerti modelli alternativi Non ho incontrato problemi per il fatto di essere donna, ma piuttosto per farmi finanziare i progetti La nostra società si sta frammentando e proseguirà Pluralismo culturale? Trovare luoghi di mediazione Direttrice Ingegnere Piciocchi