UNA PERDITA ALLARMANTE
La fuga dei cervelli — di quelli giovani, di cui molto si parla — è una malattia diffusa anche nella nostra regione che pur figura tra quelle con il più basso tasso di disoccupazione in Italia. Ed è malattia che da noi si rivela anche più grave che altrove, poiché la percentuale degli espatriati è più alta della media nazionale. Dalla provincia di Trento — risulta dai calcoli dell’Istat — su mille abitanti se ne vanno in media 1,7 l’anno; e da quella di Bolzano addirittura 3,4 su mille.
Un tempo li si chiamava emigranti, ora il termine per definirli è «espatriati» che, almeno per il momento, suona meno sconsolante. Del resto, a differenza dei loro padri e nonni che, in particolare dalla provincia di Trento, se ne andavano numerosi all’estero in cerca di lavoro soprattutto manuale, oggi questi giovani, per lo più altamente scolarizzati, prendono la decisione di lasciare casa e famiglia per cercare altrove un lavoro altrettanto altamente qualificato.
Niente valigie di cartone, insomma, e niente baracche con letti a castello per dormirci in dieci, però comunque, per tutti loro, una ferita da strappo delle radici che difficilmente si rimargina. E per i genitori, non meno dolorosa, la ferita della solitudine. Per non parlare del depauperamento non indifferente che ne discende per la nostra regione (e per l’intero Paese), sintetizzato bene dal segretario della Cisl altoatesina, Michele Buonerba, con il commento: esportiamo ingegneri e importiamo badanti. Il contrario sarebbe ovviamente molto peggio, ma resta la perdita che dovrebbe fortemente allarmare le nostre amministrazioni: avviene goccia a goccia, di modo che lì per lì quasi nemmeno la si registra, ma resta che di anno in anno il bacino delle nostre riserve di ricchezza si va impoverendo. Scappano i giovani cervelli perché, come è stato osservato da più parti, l’imprenditoria locale non solo ha molto spesso dimensioni ridotte e, quindi, in media pochi dipendenti, ma anche perché difficilmente (come, del resto, succede in tutto Italia, grandi aziende comprese) stipulano contratti a tempo indeterminato. È vero che siamo zona di confine e che non pochi giovani sono ottimamente bilingui per cui la fuga, in un certo senso, può risultare più facile, conseguenza di un’abitudine a varcare sovente la frontiera, però il fatto che i figli forse migliori, i più preparati, i più determinati se ne debbano andare da una delle regioni più prospere d’Italia per trovare un lavoro commisurato a quel che hanno studiato grida vendetta.