Modelle in vetta, altolà Sat
Bassetti: basta immagini distorte. Rifugi, sfogo dei gestori: «Noi chef? No, sentinelle»
«Dobbiamo comunicare la montagna con autenticità». L’appello è del presidente della Sat Claudio Bassetti, che al termine di una stagione complessivamente positiva per quanto riguarda i rifugi, riflette sulle prospettive del turismo alpino. Analizzando i problemi dell’abbandono dei rifiuti e della poca educazione alla montagna. «La montagna è altro rispetto alle modelle in vetta su un divano» dice Bassetti. «Non cercate da noi le ricette di Masterchef» dicono intanto i gestori dei rifugi.
L’appello è rivolto all’ente pubblico. Ma anche a chi si occupa di comunicazione del territorio trentino: basta con le pubblicità di modelle e modelli in posa in cima alle montagne tra divani, ostriche e champagne. E basta con la promozione di attività in quota dove tutto è facile e accessibile. «La montagna è altro: dobbiamo iniziare a comunicare l’autenticità». Al termine di una stagione estiva complessivamente positiva per i rifugi trentini, nonostante lo «spettro» continuo della siccità, il presidente della Sat Claudio Bassetti riflette sul turismo alpino. Individuandone potenzialità ma anche — e soprattutto — pericoli. E affrontando due dei problemi che, nelle ultime settimane, qualche gestore ha sollevato attraverso i social network: l’abbandono dei rifiuti anche alle quote più alte e le richieste «fuori scala» di escursionisti che pensano, nei rifugi, di trovare le stesse comodità di un albergo a 5 stelle. «C’è un formidabile problema di educazione: affrontarlo rappresenta una partita importantissima» sottolinea Bassetti.
Presidente, l’estate è ormai alle spalle. Com’è andata la stagione dei rifugi?
«È stata una bella stagione se si esclude settembre, che è stato un mese eccezionale: una quantità di neve così, negli ultimi anni, non si era mai vista. Ma luglio e agosto sono andati bene: abbiamo registrato un grande afflusso di turisti e una buona frequentazione della montagna. Con i rifugi che sono tornati punti privilegiati per vivere delle esperienze in quota».
C’è stato però il problema dell’acqua, quest’anno davvero scarsa.
«Sì, è vero. Per quanto ci riguarda, abbiamo cercato di sensibilizzare i frequentatori della montagna in tutti i rifugi, anche in quelli con una disponibilità di acqua sufficiente per tutta la stagione. Va ricordato un dato, allarmante: nelle Alpi occidentali tre rifugi hanno dovuto chiudere per mancanza di acqua. Qui in Trentino abbiamo avuto situazioni a rischio, ma siamo riusciti a intervenire grazie alla preparazione dei gestori e con cisterne aggiuntive. Paradossalmente, abbiamo dovuto portare nuove cisterne anche al rifugio Mantova al Vioz: una volta l’acqua di fusione del ghiacciaio formava laghetti dai quali si poteva attingere. Oggi, invece, si perde».
Tanti frequentatori in quota, quindi. Non tutti, però, sono preparati.
«Esatto. Oggi, spesso, si arriva in quota senza filtri — con funivie, strade e altro — e questo porta in montagna anche persone che non hanno una cultura adeguata. Un turismo con il quale ci si deve rapportare e che mette in difficoltà chi gestisce i rifugi».
Esiste una soluzione a questo problema?
«Personalmente, vorrei lanciare un appello che riguarda il modo in cui comunichiamo la montagna».
Un appello all’ente pubblico?
«Anche. Quando mettiamo sulle pubblicità modelle e modelli sulle cime, arrivati chissà come, sdraiati su divani; quando diamo un’immagine di una montagna dove tutto è facile. Ecco: quando veicoliamo questo messaggio, andiamo nella direzione sbagliata. La gente poi arriva in Trentino e si aspetta, ad esempio, di trovarsi il divano in cima al Doss del Sabion».
Si aspetta di trovare un ambiente quasi cittadino, con tutte le comodità.
«Ma la montagna è altro. La montagna porta con sé un concetto fondamentale, che è quello del limite. È un posto dove la vita è frugale. Per questo è importante il modo di comunicare. È necessario comunicare l’autenticità della montagna. È un compito difficile, ma indispensabile per indirizzare anche gli escursionisti».
Che altrimenti arrivano ai rifugi con richieste strane, dalla possibilità di farsi la doccia a piacimento ai menu da Masterchef.
«Ai rifugi arrivano persone con aspettative che non possono essere soddisfatte ovvia- mente. E che quindi poi si lamentano. Ma questo è un problema anche di termini».
In che senso?
«Ci sono “rifugi” trasformati in alberghi a 5 stelle, che però mantengono la denominazione di rifugio. Lì puoi mangiare le ostriche in quota, hai tutti i comfort. Ma il rifugio è altro, ha un certo limite e un certo tipo di offerta, che noi vogliamo mantenere. Agendo, piuttosto, sull’educazione».
Un concetto centrale.
«Esiste un problema formidabile di educazione, che va affrontato ognuno per la propria parte: è una partita importantissima. I nostri gestori sono molto bravi e molto preparati su questa questione».
In questo quadro si inserisce anche il problema dei rifiuti gettati in quota.
«Si tratta di un problema eclatante perché è visibile, ma che è indice di una mentalità. L’attenzione al bene comune sta calando dappertutto, in città come in montagna. E in questo quadro non c’è più l’idea che se produco un rifiuto poi lo devo anche riportare a valle da solo. Pensiamo alle carte dei gel gettati a terra da chi in montagna va solo per cercare la propria prestazione. Ma, per quanto riguarda l’educazione, pensiamo anche alla diffusione delle e-bike, che rischiano di far saltare l’intero sistema dei sentieri mantenuti da una rete di volontari: il passaggio di un numero sempre maggiore di biker, inconsapevoli dei danni, rischia di rendere inutile il lavoro di queste persone. Esiste poi un ultimo aspetto».
Prego.
«L’ho sollevato durante il dibattito sull’architettura dei rifugi alpini alla Borsa internazionale del turismo montano. La domanda è questa: cosa siamo disposti a dare all’escursionista? È chiaro che oggi nessun rifugio presenta materassi sfondati e condizioni troppo spartane. Ma al di là dell’architettura c’è di più. Un esempio concreto: per il nuovo rifugio Tonini cercheremo funzionalità. Ma il successo di quel rifugio erano i gestori e una comunità che lo sentiva come proprio. Questo è il vero segreto sul quale puntare».
La riflessione «L’attenzione al bene comune sta calando ovunque: ora in quota si lasciano i rifiuti»