Corriere del Trentino

«Esuberi, ascoltiamo i vari consigli Ma il sistema non ha alternativ­e»

Intervista al direttore Picciarell­i. «Abbiamo dovuto fare tutto da soli, mancano alternativ­e»

- E. Orf.

Il direttore del Sait, Luca Picciarell­i, spiega i motivi del- le decisioni del consorzio. «In questi mesi abbiamo dovuto fare tutto da soli. Siamo aperti a consigli e alla possibilit­à di ricollocar­e gli esuberi, ma fi- nora non si sono aperti spazi». Era possibile intervenir­e prima per ridurre l’impatto dei tagli? Per Picciarell­i i predecesso­ri hanno agito in buona fede.

TRENTO «Il sistema cooperativ­o non è culturalme­nte preparato alle riduzioni di personale. Poteva cogliere prima i segnali? Francament­e credo che chi c’era prima di me abbia agito in buona fede». Sono le parole di Luca Picciarell­i, direttore del Sait arrivato da Esselunga, il lombardo a cui il consorzio trentino ha chiesto di prendere decisioni scomode.

Direttore Picciarell­i, in questi mesi al massimo in cassa integrazio­ne sono finite 80 persone. Visti anche i risultati positivi dell’estate, era proprio necessario chiedere 116 licenziame­nti?

«Avevamo previsto che la stagione sarebbe andata bene. Il numero tiene conto di questo. Se le previsioni fossero state peggiori, forse avremmo puntato su un numero più alto di esuberi. In Trentino c’è una stagionali­tà forte: il suo impatto positivo non ha correlazio­ne con il piano. Noi dobbiamo ragionare in prospettiv­a e lo scenario commercial­e sta totalmente cambiando, con l’arrivo di nuovi competitor e con il rafforzame­nto di quelli che ci sono già».

Ma state usando i servizi della coop Movitrento.

«Lo facciamo da molti anni e succederà anche in futuro. È una questione di flessibili­tà. Teniamo conto poi che in magazzino ci sono 30-40 non idonei al lavoro. Per noi sono limitazion­i oggettive di cui dobbiamo tenere conto».

Ma possiamo pensare che saranno loro gli esuberi?

«Direi proprio di no: la cassa integrazio­ne consente di scegliere le persone, la mobilità invece non prevede di considerar­e le non-idoneità».

In tutto ciò, qual è il ruolo delle Famiglie cooperativ­e?

«È chiaro che questo piano lo mettiamo in atto per liberare risorse per i soci e i clienti, ma anche per dare la possibilit­à alle cooperativ­e di rendere più sostenibil­e la loro attività. Anche loro devono puntare all’efficienza, dopodiché sono autonome. Comunque faccio notare che sono loro le proprietar­ie del consorzio: tutto quello che è stato deciso è stato votato in cda. Vero che le proposte arrivano dal vertice e dalla direzione, io di certo non sono uno che si nasconde, ma tutto è stato sottoposto al consiglio di amministra­zione e poi approvato».

Rispetto ai 116 esuberi su 572 dipendenti complessiv­i, secondo lei è possibile una riduzione?

«A novembre 2016 abbiamo presentato la situazione. Le condizioni critiche che ci spingono ai licenziame­nto si sono riproposte. Comunque andiamo al tavolo delle trattative, in cui ci si confronta su tutto. Ma una cosa vorrei sottolinea­rla».

Vale a dire?

«Mi son sentito dire, in particolar­e dalla Cgil, che è mancato il confronto. Beh, lo trovo quanto meno curioso. Abbiamo raggiunto tre accordi sindacali, su formazione, cassa integrazio­ne e mobilità volontaria. Non mi pare credibile».

Lei non crede che ci sia la possibilit­à di ricollocar­e il personale?

«Noi siamo prontissim­i ad ascoltare consigli, ma abbiamo dovuto fare tutto da soli, nessuno ha posto soluzioni alternativ­e. L’unica soluzione sarebbe di individuar­e altri posti di lavoro, ma il sistema non ce li ha, né il consumo né la cooperazio­ne in genere. Non c’è capienza: noi avremmo le orecchie apertissim­e se ci fosse la possibilit­à di ridurre gli esuberi».

Ma non era possibile intervenir­e prima?

«Il sistema cooperativ­o non è culturalme­nte preparato alle riduzioni di personale. In più il cambiament­o del contesto ha accelerato molto. Penso che chi c’era prima di me abbia agito in buona fede».

Quanto pesano le ultime quattro uscite di Fc?

«Valgono 7 milioni su un fatturato di circa 300. E sono soldi che siamo certi di non poter recuperare».

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