Licenziamenti al Sait Federcoop reagisce «Ricollochiamoli»
TRENTO Dopo lo choc causato dall’apertura della mobilità per 116 dipendenti del Sait su 572, Federcoop rompe gli indugi: «Valutiamo ogni profilo professionale per cercare un ricollocamento in altre imprese cooperative» afferma il presidente Mauro Fezzi. Allarga il tiro anche il presidente del Sait, Renato Dalpalù, che si sta prendendo l’onere di fare tutto il «lavoro sporco» assieme al direttore Luca Picciarelli. «Difronte a oltre cento esuberi in Sait, faccio richiamo al senso si responsabilità delle Famiglie cooperative: se hanno la possibilità di far qualcosa, sarebbe moralmente inaccettabile un loro rifiuto».
L’altra sera, dopo il primo annuncio di 130 esuberi nel novembre del 2016, il consorzio della cooperazione di consumo ha aperto la procedura di mobilità per 116 dipendenti su 572, tutto personale di magazzino e uffici. Ora inizia un periodo di 75 giorni di trattativa per tentare di ridurre il contingente e definire gli indennizzi. I licenziamenti saranno possibili dopo il 3 aprile 2018, quando scadranno i 12 mesi di cassa integrazione straordinaria.
Finora la Federazione era stata tirata in ballo in più occasioni, ma non aveva mai dato la sensazione di poter fare concretamente qualcosa. Troppi i problemi arrivati contemporaneamente: Fezzi, chiamato a tamponare il vuoto lasciato da Giorgio Fracalossi, ha già abbastanza difficoltà a immaginare un futuro per i 180 dipendenti Federcoop, che subiranno la riforma del credito cooperativo. Ieri però c’è stato il colpo di reni: «La scelta della mobilità è dolorosa e sofferta, presa per salvaguardare il resto del personale ed efficientare il servizio alle Famiglie cooperative. La sostenibilità economica del consorzio e il rilancio competitivo passa da una serie di iniziative che stanno dando i primi frutti. Purtroppo, tra queste c’è anche la decisione di rinunciare a una parte importante del personale». Fezzi si dice vicino agli amministratori, «costretti a prendere iniziative impopolari», ma pensa soprattutto alle famiglie, «che improvvisamente si vedono ridurre il proprio reddito, con la prospettiva di annullarlo se non si cercano soluzioni occupazionali alternative». Quindi «Federcoop è chiamata a svolgere un ruolo proattivo, che vada al di là della doverosa solidarietà». «Con urgenza bisogna immaginare soluzioni per i lavoratori che possano integrare gli strumenti dell’Agenzia del lavoro». Quindi «per l’immediato — dice Fezzi — occorrerà acquisire i profili professionali delle persone interessate per provare a contribuire al ricollocamento all’interno del sistema. Lavoreremo insieme alla Provincia per non lasciare sulla strada questi lavoratori».
Altro fronte possibile, «il sostegno a chi vuole mettersi in gioco per aprire una nuova impresa, a cui il sistema potrebbe offrire supporti finanziari e servizi». Più a lungo termine «un progetto con l’università di Trento per costruire strumenti innovativi, a fianco dei pubblici, di supporto alle situazioni di difficoltà».
I licenziamenti in Sait potevano essere mitigati affrontando il problema con più anticipo? «Io sono presidente dal 2010 — dice Dalpalù — e avevamo 104 milioni di debito sul breve periodo: in primis c’era la parte finanziaria da sistemare e l’abbiamo fatto. Dal 2014 è iniziata la perdita di fatturato: con l’arrivo di Picciarelli abbiamo cominciato a pensare alla ristrutturazione e ci siamo arrivati». Il Sait è un consorzio che serve a far vivere una settantina di Famiglie cooperative, «mi sembra stupido quindi pensare che il problema sia solo il Sait: è l’intero sistema che deve ristrutturarsi». Dal 201o Dalpalù insiste sulle fusioni, ma finora ne ha ottenute poche. «Però io ci credo ancora: non risolvono il problema, ma creano i presupposti per affrontarlo».
Da candidato in pectore alla presidenza di Federcoop dopo i 12 anni di Schelfi (sentiero interrotto per il crac Btd), Dalpalù si è trovato costretto a mettere la faccia su 116 licenziamenti psicologicamente molto impattanti per il Trentino. «Ma nessuno mi ha chiesto di fare un passo indietro. Anzi credo che mi lascino a fare il lavoro sporco. Comunque mi manca un anno e mezzo alla scadenza del mandato: ne ho psicofisicamente a sufficienza».
Infine un appello ai sindacati: «Vero che ci sono 75 giorni di tempo, ma credo che dobbiamo stringere i tempi di negoziazione, perché ci sono tante persone che vivono in totale incertezza. Credo che in trattativa ci siano margini per ridurre i numeri, ma non abbiamo “sparato” 116 esuberi per poi ottenerne molti di meno. Lo rifiuterei come principio».