Bordon: «Verifiche eseguite Nessuna falla evidenziata»
TRENTO «Se il ceppo della malaria che ha causato il decesso di Sofia Zago risultasse identico a quello ritrovato nel sangue delle due sorelline del Burkina Faso, la probabilità che il contagio sia avvenuto all’interno della struttura sanitaria di Trento sarebbe elevatissima». Il direttore dell’azienda sanitaria Paolo Bordon parlava così ieri mattina, poco prima che gli esiti degli accertamenti molecolari venissero ufficializzati dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. I ceppi coinciderebbero e il contagio sarebbe avvenuto all’interno dell’ospedale Santa Chiara, dove tra il 16 e il 21 agosto si trovavano sia Sofia Zago, sia due bimbe del Burkina Faso, che avevano contratto la malaria nel proprio paese d’origine e, in seguito al ricovero a Trento, erano guarite.
Non sarebbe quindi più plausibile che la zanzara abbia infettato Sofia a Bibione, dove si era recata in vacanza con la famiglia. O che l’ospedale della stessa località marittima, dove alla bambina di quattro anni erano stati fatti prelievi del sangue, abbia commesso errori sanitari. Da escludere sarebbe anche la presenza in Italia di zanzare vettori di malaria. Un «conforto» nella tragedia, secondo la ministra. Il corrispettivo del sospiro di sollievo per la sicurezza collettiva è, però, l’immutata incertezza circa le cause e le dinamiche del contagio tra le bambine all’interno dei reparti trentini. «L’esito dell’accertamento molecolare — spiega Bordon — orienta l’indagine dentro l’ospedale di Trento. Tuttavia, c’è il rischio che non si arrivi a una soluzione del caso, perché ancora nessuna delle cause ipotizzate è stata avvalorata dalle indagini condotte internamente».
In seguito alla morte della piccola Sofia, il 4 settembre, l’azienda sanitaria aveva infatti avviato un’indagine interna, avvalendosi di un professionista esterno, il professor Giuseppe Ippolito dello Spallanzani di Roma, e riportando con regolarità al procuratore di Trento Marco Gallina i risultati degli esami (l’ultimo report era stato inviato martedì, ndr).
«Ascoltato il personale, esaminato il materiale monouso, ricostruite le procedure e i momenti di contatto tra le bambine, non sono emerse falle nel sistema sanitario» riprende il direttore generale dell’azienda sanitaria. Tutto sarebbe quindi avvenuto nel rispetto del protocollo, secondo Bordon, che esclude l’ipotesi del riutilizzo degli aghi da parte dei professionisti in servizio e la presenza di zanzare malariche nei locali dell’ospedale.
Il referto delle analisi eseguite dall’Istituto superiore della sanità e dall’Istituto zooprofilassico del Veneto, lo mette nero su bianco: l’unico dato certo, al momento, è che la malaria di cui è morta Sofia è la stessa dalla quale erano state contagiate le sorelle del Burkina Faso. Resta quindi da capire quali siano state le modalità di trasmissione del parassita. Col dubbio che ci sia di mezzo l’errore di un sanitario.
Intanto nel paese dove le due bimbe ricoverate con Sofia vivono si spera che i riflettori non tornino ad accendersi. «Sono state settimane dure anche per noi» spiega il parroco del paese. «Adesso è tornato il sereno e non vorremmo si alzasse un nuovo polverone — prosegue — Anche perché le bimbe non hanno alcuna colpa».
Reazioni arrivano anche dal mondo della politica. Il consigliere provinciale del Movimento 5 Stelle Filippo Degasperi chiede «che i diretti interessati» all’interno dell’azienda sanitaria «si auto-sospendano dalle loro funzioni, sulla base di un principio di precauzione, sino a quando i risultati definitivi dell’inchiesta non avranno fatto luce piena sulle responsabilità».
L’affondo Degasperi (M5s) ha chiesto le dimissioni dei vertici dell’Azienda sanitaria