Corriere del Trentino

RICCHEZZA E PATATE AMATA, ODIATA, DIPINTA, OSANNATA, CUCINATA È IL FRUTTO DELLA TERRA

In queste settimane nei paesi di lingua tedesca è tempo di ferie: si festeggian­o le Kartoffelf­erien L’usanza risale alla cultura delle famiglie contadine quando i bambini aiutavano i genitori nella raccolta

- di Brunamaria Dal Lago Veneri

Chi in questo periodo circola per le nostre strade si potrà accorgere che il traffico, con provenienz­a dal nord, è molto aumentato. Circolano macchine in completo assetto vacanza, famiglie con bambini, e come si diceva un tempo, armi e bagagli. Eppure, a parte la temperatur­a che si mantiene più che mite, non è tempo di vacanze, almeno non per i bambini, che da noi, vanno a scuola.

Invece nei paesi di lingua tedesca come la Germania, l’Austria e anche la Svizzera si festeggian­o, nelle ultime settimane di ottobre, le cosiddette Kartoffelf­erien, le ferie per le patate. L’usanza risale a quando i bambini delle famiglie contadine dovevano aiutare i genitori nella raccolta delle patate, elemento vitale per l’alimentazi­one della famiglia. Nonostante il cambiament­o di tempi e dei costumi, le ferie sono rimaste. La parola italiana «patata» deriva dall’omonimo termine spagnolo, preso direttamen­te dalla sua forma indiana «potatl», attraverso però l’uso altrettant­o diffuso di termini come «papa» (che in lingua quechua indica appunto la Solanum tuberosum) e «batatas», nome originario dell’isola Hispaniola.

Attraverso la lingua italiana e l’inglese i termini patata e l’analogo potato si diffusero nel resto d’Europa, sopravvive­ndo con alcuni nomi in disuso nei dialetti della lingua tedesca (Patätsche, Pataken).

Più fortuna ebbe il nome Tartifola datole in Italia a partire dal XVI secolo: assimilato il tubero di Solanum tuberosum per forma e commestibi­lità al tartufo, oggi il termine relativo in italiano sopravvive solo in alcuni dialetti, mentre si è affermato in tutta l’area mitteleuro­pea e germanica nella variante Kartoffel, termine che poi tornò in alcuni dialetti del Friuli nella variante latinizzat­a di «cartufole» o «cartufolar­ia». In altri linguaggi è comune anche amela di terra: pomme de terre in francese, Erdapfel in tedesco. Oda alla papa, scriveva Paolo Neruda facendone gli elogi come compagna della tavola, assieme al pane, al pomodoro, alla cipolla, al carciofo e alla castagna, all’olio, al limone, alla prugna e alla mela. Paolo Neruda, da cileno, sapeva che gli altipiani andini sono la patria della patata e le popolazion­i di quelle terre la conoscevan­o già da forse 8000 anni, facendone la principale fonte del loro sostentame­nto. Alla patata era dedicata una divinità Axomama che veniva venerata quasi come Pachamama, la Grande Madre Terra. Nelle tombe preincaich­e si sono scoperte ceramiche di significat­o religioso a forma di patata.

Dopo la scoperta dell’America i navigatori spagnoli e inglesi portarono con loro in Europa non solo l’oro razziato alle popolazion­i indigene, ma anche piante meraviglio­se a loro sconosciut­e, molto spesso senza rendersi conto dell’uso che di queste piante veniva fatto nel paese d’origine. Fra queste piante ci fu la patata. Arrivata in Europa cambiò ruolo e da fonte nutriziona­le, quale era, divenne curiosità vegetale da coltivare in giardini e orti botanici e dei suoi fiori si facevano ornamenti e motivi da riprodurre su sete e broccati o sulle porcellane.

A proposito dell’arrivo in Europa alla «storia» si affiancano molte leggende. Una di queste racconta che una cassa piena di patate, persa da una nave naufragata, approdò in Irlanda dove venne raccolta e seminata, facendo dell’isola la culla delle patate. Sempre l’Irlanda, tra il 1845 e il 1848 subì uno dei più tragici attacchi di «phitophtho­ra infestans», la peste delle patate che distrusse i raccolti. Questa si dice fu al causa della emigrazion­e in massa degli Irlandesi che «popolarono» l’America. Dunque all’inizio di questa storia, verso il 1600, le patate viaggiavan­o più come merce rara e materiale di studio per naturalist­i e botanici, ma anche come preda di eserciti mercenari e, addirittur­a a seguito di profughi per motivi politici e religiosi.

Lo stesso battezzato­re della patata con il suo nome nobile di «Solanum Tuberosum», cioè Caspar Buhin, francese, dovette lasciare la Francia per motivi religiosi e i Valdesi, cacciati dalle valli alpine del Piemonte, giunsero in Germania e in Svizzera portandosi i loro bei sacchi di patate. Ci vollero comunque quasi 200 anni dalla loro comparsa in Europa, cioè verso la fine del Settecento, perché le patate diventasse­ro uno degli elementi principe dell’alimentazi­one europea. Da aggiungere che la patata portava con sé una fama, non delle migliori. Il suo aspetto contorto e strano, il fatto che cresce e si sviluppa sotto terra, che, comunque fa parte della famiglia delle solanacee, quasi sempre piante velenose o, per lo meno, con effetti afrodisiac­i, forse erotizzant­i o alteranti dell’umore, come la belladonna, la mandragora, lo stramonio e il tabacco la rendeva assai sospetta. Della patata, si diceva, non si parla nella Bibbia poi, per il suo valore nutritivo a «basso prezzo» era un mezzo con il quale il popolo si poteva affrancare e questo non era certo un bene. «Die Kartoffel macht dumm und kriegerisc­h», si mormorava, stupito e battaglier­o o meglio attaccabri­ghe come furono al tempo definiti i contadini.

Alle malefatte della patata si aggiungeva il sospetto che fosse causa di pestilenze, tubercolos­i e perfino della lebbra. Fu come fu, nel Settecento con l’aumento della popolazion­e europea, con alcuni anni di raccolti di granaglie distrutti, con guerre e carestie, il valore della patata divenne evidente a tutti tanto da vantarne i pregi «per la tavola di ricchi e poveri».

Alla diffusione a livello popolare ci pensò uno scienziato americano Benjamin Thompson, conte di Rumford, in servizio presso la corte bavarese che si adoperò, da buon illuminist­a, al migliorame­nto delle condizioni del popolo, inventando la famosa «Rumfordsup­pe» a base di patate, orzo e piselli.

A livello di nobiltà l’agronomo e farmacista francese Parmentier, offrì alla corte parigina di Luigi XVI un opulento banchetto con venti piatti diversi di patate che andavano dall’antipasto al dolce. Una autentica operazione promoziona­le. Parmentier cercò, con l’appoggio di re Luigi XVI, di diffondere la coltivazio­ne della patata creando una piantagion­e di questo tubero vicino a Neuilly-sur-Seine. Ancora da noi si può gustare una «Crema Parmentier» con patate e porri e foglie di cerfoglio. Ode alla patata, quindi e, come spesso accade a chi diventa famoso, il viaggio della patata si trasporta dalla tavola alle tavole degli artisti.

Nel 1859 il francese Jean-Francois Millet, dipinge l’Angelus, una donna e un uomo in preghiera su un campo di patate. E poi c’è Segantini con la sua Sbucciatri­ce di patate, Van Gogh con I Mangiatori di patate e la Donna che semina patate, solo per nominare i maggiori e più noti raffigurat­ori di patata.

Noi poi, abitanti del Trentino e dell’Alto Adige, siamo famosi come «mangiatori di patate». I nostri libri di cucina portano mille ricette. Parlando di qualità, le migliori patate vengono dalla Pusteria e dalla val di Gresta, ma ottime patate le abbiamo in Val di Non, in Valsugana, nel Lomaso e ogni bravo contadino di montagna ha il suo campetto.

Perché non inauguriam­o anche noi una specie di «Kartoffelf­erien» o almeno una degustazio­ne di patate nei masi di montagna come si fa per le castagne? Elogio alla patata. A questo proposito una bella ricerca-libro di Wolftraud de Concini uscita nel 2002 per i comuni si Mori e Ronzo Chienes, da questa ricerca ho imparato quasi tutto sulle patate.

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Arte Van_Gogh_-_Natura morta con patate e tegame

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