Corriere del Trentino

«Il voto siciliano è eccentrico Nessuna ricaduta»

Fabbrini dopo il voto siciliano: «Renzi non ha spostato quei voti, ma è l’unico che può farcela»

- Tristano Scarpetta

TRENTO «In Italia c’è un elettorato di destra congelato, molto difficile da spostare». Sergio Fabbrini invita a a non considerar­e — con Sciascia — «la Sicilia come metafora dell’Italia», ma nell’analizzare il voto siciliano di domenica non può fare a meno di rilevare come il tentativo di Matteo Renzi di conquistar­e pezzi di elettorato di centrodest­ra sia sostanzial­mente fallito.

Professore, abbiamo avuto una preview delle politiche?

«Storicamen­te la Sicilia non ha mai anticipato il paese, piuttosto lo ha seguito, ha una tradizione politica eccentrica rispetto al resto d’Italia».

Si riferisce all’autonomia speciale?

«Anche in quello la Sicilia si distingue: dall’autonomia, ad esempio, del Trentino Alto Adige. È difficile spiegare l’autonomia dell’isola con un autogovern­o che negli anni ha solo in parte praticato».

È corretto parlare di disfatta per il Pd?

«I voti per il Pd sono più o meno gli stessi di cinque anni fa. La Sicilia non ha mai avuto una tradizione di sinistra. L’assenza di una classe operaia ha ostacolato la nascita di quella che una volta si chiamava coscienza di classe. In Sicilia il voto clientelar­e è ancora molto forte. Se si vanno a vedere i vari candidati, si distinguon­o chiarament­e gli interessi territoria­li che rappresent­ano. L’ultima volta il centrodest­ra ha perso solo perché si è diviso e, in questo modo, è stata possibile la vittoria di un personaggi­o un po’ particolar­e come Crocetta».

Anche l’affermazio­ne del Movimento 5 Stelle non la stupisce?

«Quello dei 5 Stelle è un successo che non enfatizzer­ei. Sono il primo partito in Sicilia, è vero, ma non possono struttural­mente essere i primi perché rifiutano alleanze e perché il fatto di essere un movimento populista che comprende istanze di destra e di sinistra li paralizza di fronte alle scelte. La loro è una vittoria dimezzata che prefigura ciò che potrà accadere alle politiche. Inoltre, il ritorno del centrodest­ra creerà qualche problema a un movimento che, nel frattempo, si è spostato a destra come dimostra il caso di Roma».

Veniamo al centrodest­ra. Il protagonis­ta è tornato ad essere Berlusconi, dominus della politica italiana da oltre vent’anni. Esiste, in Europa, un elettorato che torna a dare fiducia alla stessa persona, nonostante le sconfitte e le cadute, anche giudiziari­e?

«Non esiste. In Italia viviamo l’anomalia di una destra che, dopo il fascismo, ha avuto grossi problemi di affermazio­ne e che ha trovato in lui un riferiment­o. Berlusconi ha costruito un partito personale, una sorta di monarchia in cui il ricambio è molto difficile. L’elettorato che rivediamo oggi in realtà, anche dopo il 2011, c’è sempre stato. Ha ritrovato un riferiment­o in questa figura di «padre nobile» che Berlusconi si è autoattrib­uito, io preferisco parlare di porta bandiera. Resterà un passo indietro e proporrà un nome come quello di Tajani».

In questi anni, Renzi ha cercato di conquistar­ne l’elettorato. È giusto dire che, a questo punto, il suo tentativo può dirsi fallito?

«È questa la domanda principale. Evidenteme­nte esiste in Italia un elettorato di centrodest­ra congelato che, di fronte alle divisioni del centrodest­ra e all’assenza di Berlusconi, o non vota, o vota 5 Stelle, ma che non si sposta. A Torino, per fare un esempio, ha permesso l’elezione di Appendino. Si possono conquistar­e alcune aree economicam­ente dinamiche, ma le possibilit­à di spostare quel voto sono molto ridotte. In ogni caso, oggi Renzi è l’unico che può riuscirci. Per ora dovrà mettere insieme un’alleanza di centrosini­stra che, però, difficilme­nte potrà superare quel 30-32% che rappresent­a il suo elettorato storico, per lo più se la sinistra non vorrà fare alleanze».

Se la socialdemo­crazia è in crisi in tutta europa, non sarebbe il caso di elaborare un’offerta politica che possa essere realmente popolare?

«Paradossal­mente, la delegazion­e italiana all’interno del gruppo dei socialisti europei è la più numerosa. Le socialdemo­crazie sono in crisi in tutta Europa: in Germania, in Austria, in Francia i socialdemo­cratici non esistono quasi più, in Spagna sono un partito intimidito».

In Inghilterr­a?

«Sono forti non per le qualità del proprio leader, Corbyn, ma per la debolezza degli avversari guidati da May. Quel modello politico è finito perché non esprime più una rappresent­anza sociale, la classe operaia da cui è nato non esiste più».

L’alternativ­a I partiti socialdemo­cratici sono in crisi ovunque, hanno perso rappresent­anza Non esiste in Europa un caso simile a quello di Silvio Berlusconi L’autonomia dell’isola è diversa da quella trentina Non è autogovern­o

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Politologo Sergio Fabbrini analizza il voto siciliano e le prossime politiche (Rensi)

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