Corriere del Trentino

Il Piano urbanistic­o e il ruolo del museo diffuso

- Di Michele Lanzinger * * Direttore del Muse

Va osservato con grande attenzione il rilievo dato ai 50 anni dal primo Piano urbanistic­o provincial­e (Pup) e le riflession­i che ne seguono. Il primo Pup voluto da Bruno Kessler nel 1967 è da considerar­e la pietra miliare della modernità del Trentino: il riequilibr­io tra centro e periferie, il contrasto all’abbandono delle montagne, le infrastrut­ture che avrebbero inserito il Trentino nei circuiti nazionali e internazio­nali. Il concetto stesso di pianificaz­ione si faceva così sinonimo di modernità, una pianificaz­ione divenuta cantiere di anticipazi­one di scenari di cambiament­o da individuar­e e perseguire.

Il successivo Pup del 1987, curato da un Walter Micheli che meriterebb­e maggiore ricordo e attenzione, segnò un ulteriore passaggio verso la modernità mettendo in gioco un nuovo e molto ben caratteriz­zato concetto di ambiente e conservazi­one attiva della natura. È la stagione della nascita dei parchi naturali, dei biotopi, della tutela attiva e dell’educazione ambientale.

Giungiamo infine al Piano urbanistic­o attuale, divenuto legge nel 2008, che raccoglie i valori dei piani precedenti proponendo un importante rilancio: quello della partecipaz­ione e della responsabi­lizzazione del territorio. Viene così superato il contrasto tra l’idea negativa dell’ente pubblico che detiene le prescrizio­ni conformati­ve e il cittadino che le subisce. Le nuove parole chiave sono ora: sostenibil­ità, sussidiari­età responsabi­le, compatibil­ità, integrazio­ne.

Va ricordato peraltro che anche nelle questioni del territorio e del suo sviluppo non tutto dipende dalla politica. Lo si vede ad esempio dagli effetti della globalizza­zione che incidono sugli assetti economici locali, costringen­do a una diversific­azione delle destinazio­ni di uso dei territori, o dall’emergere degli impatti legati ai cambiament­i climatici. Basti pensare alla progressiv­a riduzione delle precipitaz­ioni nevose e all’innalzamen­to termico. E in termini di sostenibil­ità economica, a che livello poniamo il punto di rottura del sistema della neve programmat­a? Accanto a previsione e anticipazi­one, deve entrare in gioco anche la resilienza, vale a dire la capacità di far fronte in modo positivo ai problemi sui quali non abbiamo diretto controllo. Ecco perché la pianificaz­ione è allo stesso tempo anticipazi­one e strategia.

Tenendo sotto osservazio­ne le questioni ambientali, va ricordato che se nella nuova pianificaz­ione la conservazi­one della natura continua ad avere un ruolo fondamenta­le, l’obiettivo che ne emerge non è quello del recupero di un’immaginari­a «wilderness» delle origini, ma di un percorso radicato nella storia del territorio che vede la compresenz­a sostenibil­e degli assetti naturali in dialogo con le componenti stratifica­te nel tempo dell’agire dell’uomo. Ecco perché chiamiamo questi «i caratteri identitari» dei luoghi e tali luoghi sono chiamati «paesaggio». Su queste riflession­i il nuovo Pup interviene con forza e la sua Carta del paesaggio costituisc­e un forte strumento che permette di leggere queste interazion­i e di indirizzar­e la loro evoluzione.

A tal proposito è interessan­te osservare quanto il rinnovato interesse verso il paesaggio abbia riguardato anche la componente culturale, con una nozione di «paesaggio culturale» divenuto un tema al centro delle politiche promosse dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) , ed è stato oggetto di una recente conferenza internazio­nale dell’Internatio­nal Council of Museums. Emerge un nuovo concetto di museo: il museo diffuso (extended museum) che si traduce in una concezione estesa del modo di fare dei musei, al di fuori di muri e vetrine. Si afferma infatti che «i musei contribuis­cono non solo alla conoscenza e ai valori dei paesaggi culturali, ma anche allo sviluppo della dimensione simbolica che li determina, cosicché la stessa nozione di paesaggio culturale diviene uno strumento per valutare ciò che è necessario proteggere e migliorare per consegnarl­o alle future generazion­i, e quello che — viceversa — va messo in discussion­e, criticato e modificato».

Un rapporto tra musei e territorio che coglie quanto il paesaggio non sia da ricondurre a un diorama, una veduta da cartolina, forse un po’ kitsch, dei tratti più tradiziona­li e folklorist­ici di un territorio, ma a quello di un paesaggio in trasformaz­ione nel tempo. Un paesaggio culturale specchio delle comunità che lo vivono, trasforman­dolo nel tempo, e che lo interpreta­no grazie al loro senso di responsabi­lità, consapevol­ezza, appartenen­za e definizion­e della propria identità.

Da ciò emerge che musei, cultura e paesaggio culturale possano essere considerat­i fattori di sviluppo locale. Si pensi alla relazione tra dimensione educativa, crescita culturale e sostegno alla creatività come elementi intrinseci allo sviluppo economico, così come lo sono la conservazi­one e la valorizzaz­ione dei patrimoni. Su questa base i nuovi racconti dei territori possono essere una componente importante per il marketing territoria­le. La cultura, intesa come strumento di inclusione, svolge un ruolo attivo in rapporto allo sviluppo delle comunità.

Messa così, la questione del Piano urbanistic­o, del paesaggio culturale e dei musei, assume un connotato ampio, inclusivo e responsabi­le di anticipazi­one e sviluppo. Si tratta di cartografi­a e zonizzazio­ne, d’accordo, ma al contempo parliamo di una dichiarazi­one o di un manifesto di come un territorio e i suoi abitanti decidono di voler essere e di come e dove vogliono andare. Sostenibil­ità dello sviluppo? Ecco, esattament­e questo.

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