Il Piano urbanistico e il ruolo del museo diffuso
Va osservato con grande attenzione il rilievo dato ai 50 anni dal primo Piano urbanistico provinciale (Pup) e le riflessioni che ne seguono. Il primo Pup voluto da Bruno Kessler nel 1967 è da considerare la pietra miliare della modernità del Trentino: il riequilibrio tra centro e periferie, il contrasto all’abbandono delle montagne, le infrastrutture che avrebbero inserito il Trentino nei circuiti nazionali e internazionali. Il concetto stesso di pianificazione si faceva così sinonimo di modernità, una pianificazione divenuta cantiere di anticipazione di scenari di cambiamento da individuare e perseguire.
Il successivo Pup del 1987, curato da un Walter Micheli che meriterebbe maggiore ricordo e attenzione, segnò un ulteriore passaggio verso la modernità mettendo in gioco un nuovo e molto ben caratterizzato concetto di ambiente e conservazione attiva della natura. È la stagione della nascita dei parchi naturali, dei biotopi, della tutela attiva e dell’educazione ambientale.
Giungiamo infine al Piano urbanistico attuale, divenuto legge nel 2008, che raccoglie i valori dei piani precedenti proponendo un importante rilancio: quello della partecipazione e della responsabilizzazione del territorio. Viene così superato il contrasto tra l’idea negativa dell’ente pubblico che detiene le prescrizioni conformative e il cittadino che le subisce. Le nuove parole chiave sono ora: sostenibilità, sussidiarietà responsabile, compatibilità, integrazione.
Va ricordato peraltro che anche nelle questioni del territorio e del suo sviluppo non tutto dipende dalla politica. Lo si vede ad esempio dagli effetti della globalizzazione che incidono sugli assetti economici locali, costringendo a una diversificazione delle destinazioni di uso dei territori, o dall’emergere degli impatti legati ai cambiamenti climatici. Basti pensare alla progressiva riduzione delle precipitazioni nevose e all’innalzamento termico. E in termini di sostenibilità economica, a che livello poniamo il punto di rottura del sistema della neve programmata? Accanto a previsione e anticipazione, deve entrare in gioco anche la resilienza, vale a dire la capacità di far fronte in modo positivo ai problemi sui quali non abbiamo diretto controllo. Ecco perché la pianificazione è allo stesso tempo anticipazione e strategia.
Tenendo sotto osservazione le questioni ambientali, va ricordato che se nella nuova pianificazione la conservazione della natura continua ad avere un ruolo fondamentale, l’obiettivo che ne emerge non è quello del recupero di un’immaginaria «wilderness» delle origini, ma di un percorso radicato nella storia del territorio che vede la compresenza sostenibile degli assetti naturali in dialogo con le componenti stratificate nel tempo dell’agire dell’uomo. Ecco perché chiamiamo questi «i caratteri identitari» dei luoghi e tali luoghi sono chiamati «paesaggio». Su queste riflessioni il nuovo Pup interviene con forza e la sua Carta del paesaggio costituisce un forte strumento che permette di leggere queste interazioni e di indirizzare la loro evoluzione.
A tal proposito è interessante osservare quanto il rinnovato interesse verso il paesaggio abbia riguardato anche la componente culturale, con una nozione di «paesaggio culturale» divenuto un tema al centro delle politiche promosse dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) , ed è stato oggetto di una recente conferenza internazionale dell’International Council of Museums. Emerge un nuovo concetto di museo: il museo diffuso (extended museum) che si traduce in una concezione estesa del modo di fare dei musei, al di fuori di muri e vetrine. Si afferma infatti che «i musei contribuiscono non solo alla conoscenza e ai valori dei paesaggi culturali, ma anche allo sviluppo della dimensione simbolica che li determina, cosicché la stessa nozione di paesaggio culturale diviene uno strumento per valutare ciò che è necessario proteggere e migliorare per consegnarlo alle future generazioni, e quello che — viceversa — va messo in discussione, criticato e modificato».
Un rapporto tra musei e territorio che coglie quanto il paesaggio non sia da ricondurre a un diorama, una veduta da cartolina, forse un po’ kitsch, dei tratti più tradizionali e folkloristici di un territorio, ma a quello di un paesaggio in trasformazione nel tempo. Un paesaggio culturale specchio delle comunità che lo vivono, trasformandolo nel tempo, e che lo interpretano grazie al loro senso di responsabilità, consapevolezza, appartenenza e definizione della propria identità.
Da ciò emerge che musei, cultura e paesaggio culturale possano essere considerati fattori di sviluppo locale. Si pensi alla relazione tra dimensione educativa, crescita culturale e sostegno alla creatività come elementi intrinseci allo sviluppo economico, così come lo sono la conservazione e la valorizzazione dei patrimoni. Su questa base i nuovi racconti dei territori possono essere una componente importante per il marketing territoriale. La cultura, intesa come strumento di inclusione, svolge un ruolo attivo in rapporto allo sviluppo delle comunità.
Messa così, la questione del Piano urbanistico, del paesaggio culturale e dei musei, assume un connotato ampio, inclusivo e responsabile di anticipazione e sviluppo. Si tratta di cartografia e zonizzazione, d’accordo, ma al contempo parliamo di una dichiarazione o di un manifesto di come un territorio e i suoi abitanti decidono di voler essere e di come e dove vogliono andare. Sostenibilità dello sviluppo? Ecco, esattamente questo.