DONNE E UOMINI OLTRE I MURI PER UNA SOCIETÀ PIÙ CIVILE
Anch’io vorrei dire con forza alla consigliera di parità, Eleonora Stenico, intervenuta sul Corriere del Trentino di sabato scorso, che non ci sto a vivere in una società dove c’è sopraffazione e voglio costruire una comunità basata su libertà, rispetto e uguaglianza delle persone. Ma come posso collaborare con donne che vedono la violenza solo nei maschi, seppur limitati al 10%? Il dibattito politico sull’argomento mi sembra non equilibrato. Per questo non festeggio da anni l’8 marzo né partecipo alle manifestazioni antiviolenza in cui si indica come unico colpevole il mondo maschile. La recente giornata mondiale contro la violenza di genere è stata trasformata nelle parole e nei fatti in una generale accusa contro la sola violenza maschile. È vero che la stragrande maggioranza delle violenze fisiche sono ai danni delle donne. Se accanto al «femminicidio» esiste (non nominato) il «maschicidio», la violenza si esprime però in tante altre forme meno appariscenti di quelle fisiche, ma non meno lesive della dignità di una persona, violenza che vede protagonista anche il mondo femminile. Leggo nella recensione del Corriere della Sera riguardante il libro «50 sfumature di violenza» di Barbara Benedettelli: «Oggi ci sono donne a capo dei governi, tra gli amministratori delegati, i militari, i leader politici, i camionisti, gli astronauti, gli ingegneri. Ma non riusciamo a vederle nella veste di carnefici. Di persone in grado di maltrattare, di demolire fisicamente o psicologicamente, anche loro, gli uomini che dicono di amare». La violenza delle donne «è in qualche modo legittimata, non suscita indignazione (...) Perché, si sa, la donna anche quando fa male è comunque più vittima dell’uomo». Parole dure, fuori dal coro, che denunciano una violenza non unidirezionale. L’esperienza mi insegna che la sopraffazione, la cattiveria, la disonestà, l’aggressività siano equamente distribuite tra i due generi. E trovo conferma nelle testimonianze di amici e amiche. Purtroppo, da una legittima e doverosa azione contro la violenza di genere, si è passati ad assurde rivendicazioni come chi non vuole essere chiamata «woman» (donna) perché nel termine è presente «man» (uomo), o «fermale» per la presenza di «male». Severgnini, viste le reazioni sul caso Weinstein, si domanda se non rischiamo una sorta di maccartismo sessuale. Con garbo e senso umoristico alcuni giornalisti e giornaliste stanno puntualizzando meglio e con più equilibrio l’ancora difficoltosa convivenza uomo-donna. Sicuramente la violenza è un’angheria inaccettabile in una società civile, ma lo è sia verso una donna sia nei confronti di un uomo. Se vogliamo costruire un mondo più vivibile e rispettoso delle persone, analizziamo quindi le dinamiche della società e troviamo soluzioni senza pregiudizi di genere.