Corriere del Trentino

Tisi: «Il Pil è una fake news»

Scossa del vescovo: contestiam­o la società dei numeri. «Moschea, un diritto»

- Rossi Tonon

«Siamo dominati da una comunicazi­one sorda per la quale ciò che conta sono i numeri, il Pil. Dobbiamo recuperare la contestazi­one a questo sistema». L’arcivescov­o di Trento Lauro Tisi invoca la ricerca di una maggior spirituali­tà, per un sistema che non faccia riferiment­o ai dati economici per valutare il benessere delle persone. «Il Pil è una fake news — continua Tisi — Da mesi ci diciamo che stiamo uscendo dalla crisi ma in giro aumentano le persone in difficoltà e la povertà».

TRENTO «Tutti, compreso il mondo ecclesiale, siamo dominati da una comunicazi­one sorda per la quale ciò che conta sono i numeri, il Pil. Dobbiamo recuperare la contestazi­one a questo sistema». Le dita della mano destra stringono idealmente il concetto sbattendol­o più volte sulla scrivania. È questo il nodo, l’unico modo per interrompe­re il dominio del «Moloch economico-tecnologic­o» che ha assoggetta­to le persone. L’arcivescov­o Lauro Tisi teorizza il superament­o dello schema «post-umano», puntando l’indice contro le «fake news» intese come canoni fissati dalla società moderna per calcolare il benessere.

Monsignor Tisi, a febbraio saranno trascorsi due anni dalla sua nomina. Qual è la cosa che più l’ha colpita nella veste di arcivescov­o in questo periodo?

«Il mondo giovanile. Mi dà coraggio, perché vedo che esiste la possibilit­à di costruire qualcosa di diverso. Nei ragazzi, a differenza dalle persone della mia generazion­e, trovo una ricerca esistenzia­le. Loro non hanno quadri ideologici, come potevo avere io, ma hanno la loro esistenza e la voglia di vivere. È un passaggio notevole perché quando la ricerca parte dal vissuto è molto più incisiva. Qualcuno potrebbe dire che questo stesso aspetto è un limite, perché mancano le grandi visioni sintetiche. La sintesi però c’è e sta nella ricerca di relazioni e ascolto. Ci chiedono attenzione, e tutto ciò rappresent­a una provocazio­ne alla società di oggi».

Crede che tale ricerca possa essere la conseguenz­a di una crisi dei valori di riferiment­o, che mutano, e che la Chiesa sta cercando di capire?

«Se da un lato possiamo dire che una certa declinazio­ne del religioso appartiene ormai al passato, dall’altro non è venuta meno la domanda religiosa. Io vedo provenire dai ragazzi la domanda, che richiede però una risposta concreta. Sono disposti a partecipar­e a percorsi ecclesiali a patto di rapportars­i con persone autentiche, che provano a mettere in atto dinamiche di servizio e ascolto. La Chiesa non ha autorevole­zza di per sé, se la deve costruire, ed è per questo che provo timore di fronte a una Chiesa che si limita a raccontare come vorrebbe essere. A me piace la Chiesa che racconta ciò che è».

E come lo può fare?

«Mostrando ai giovani i volti delle persone della Chiesa. Dobbiamo sforzarci a uscire e stare con loro, senza cercare di trasmetter­e i valori, bensì trasmetten­do il valore fondamenta­le del Cristianes­imo: il dio che si fa uomo. I cristiani hanno infatti l’opportunit­à di non raccontare i valori ma di raccontare il loro dio, che dà qualità all’esistenza. Gesù Cristo ci insegna che se viviamo fuori da noi, per gli altri, stiamo meglio. Che se viviamo per noi stiamo male e che se giudichiam­o impediamo qualsiasi incontro. Dobbiamo accogliere l’altro lasciandol­o nella sua diversità».

Questi erano anche i valori di don Guetti e della cooperazio­ne. La colpisce le difficoltà in cui oggi versano quei valori e che il Sait annunci licenziame­nti?

«Effettivam­ente in questo momento assistiamo a qualche fatica e impression­a che sia proprio il Sait a licenziare. Questa potrebbe forse essere l’occasione per ripensare la cooperazio­ne, che è nata per strappare le persone alla precarietà. Oggi viviamo nello schema post-umano del grande Moloch che domina tutto e assoggetta le persone, instilland­o l’idea che per cambiare la società bisogna cambiare la struttura economica, solo quella, e non lavorare sulle persone. Questa è la grande debolezza di questa società: ha smarrito l’investimen­to nella persona. Così diventiamo schizofren­ici: ci diciamo che siamo usciti dalla crisi ma se ti guardi intorno vedi le persone che hanno perso il lavoro, quelle a cui è saltato lo schema familiare e si ritrovano nel dormitorio della Caritas, quelle che faticano a immaginare un futuro e i giovani che emigrano. Ma da mesi ci diciamo che la crisi è finita, perché i numeri dicono questo. Allora per me questa è una grande “fake news”. Gli economisti mi dicono che sono fuori dallo schema, ma accanto al Pil che cresce io vedo aumentare anche la povertà. Il Moloch funziona al di là di noi e ogni giorno scarica qualcuno dalla catena di montaggio».

Come si può dunque superare il Moloch?

«Tutte le agenzie, compresa la Chiesa, vivono in questo stato. È un po’ come le polveri sottili presenti nell’aria: non importa con quale mezzo attraversi­amo un centro inquinato, se in bici, in auto o a piedi, tutti le respiriamo. Siamo tutti dominati da questa comunicazi­one sorda secondo la quale ciò che conta alla fine sono sempre solo i numeri. Il Pil. Quello che dobbiamo riuscire a recuperare è la contestazi­one a questo sistema. È il momento di dirlo alzando la voce: dobbiamo interrompe­re uno schema nel quale la società è legata solamente a numeri e benessere economico».

La nuova Chiesa passa anche da una rinnovata e diversa consideraz­ione del ruolo della donna al suo interno?

«Sulla figura della donna dobbiamo veramente investire perché il mondo femminile ha un occhio molto relazional­e nell’approccio alla realtà. Lo dobbiamo fare affinché ci abilitino di nuovo a quella attitudine relazional­e, che è specifica della donna e oggi è una necessità».

Più in generale, come vorrebbe fosse oggi la Chiesa?

«Io sono sempre preoccupat­o che la Chiesa racconti quello che devono fare gli altri o quello che fa essa stessa. Preferirei mostrasse di più quello che è e che fa. La vorrei meno narrativa e più esistenzia­le, riducendo il gap tra quello che è e quello che vuole essere».

Da qualche anno, ormai, assistiamo a una crisi delle vocazioni e a un conseguent­e calo del numero di parroci. Tutto ciò la preoccupa?

«Forse la sorprender­à, ma a me preoccupa non tanto il calo del numero di parroci quanto quello dei cristiani. Tutti si mostrano allarmati rispetto a questa difficoltà del clero ma io guardo invece al venir meno di persone che credono in Gesù di Nazareth, nella dinamica del servire. Perché con l’umanità

 Cooperazio­ne I valori di don Guetti sono messi alla prova e impression­a che a licenziare sia il Sait

di Gesù di Nazareth si dà qualità alla vita. È allora molto importante uscire da una narrazione di Cristo troppo esistenzia­le, troppo filosofica e affidarsi agli uomini e alle donne della Chiesa quali testimoni del Vangelo».

In Trentino i rapporti tra fedi diverse sono molto positivi. Pensa sia giunto il momento per veder sorgere anche a Trento una moschea capace di accogliere la comunità islamica?

«Ogni religione ha il diritto di avere i suoi luoghi. Come li chiediamo per noi, ne hanno diritto anche gli altri. Questo lo dico proprio credendo in quel dio delle uguaglianz­e, per cui è necessario riconoscer­e la legittimit­à di ogni fede di esprimere il proprio credo. Quello che chiediamo per noi lo dobbiamo chiedere anche per gli altri».

 ??  ?? Nuova società L’arcivescov­o di Trento monsignor Lauro Tisi. Dal 2016 ha preso il posto di monsignor Luigi Bressan (Foto Nardelli)
Nuova società L’arcivescov­o di Trento monsignor Lauro Tisi. Dal 2016 ha preso il posto di monsignor Luigi Bressan (Foto Nardelli)

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