Corriere del Trentino

Il museo diocesano riscopre il valore del velo

- Brugnara

Verrà inaugurata domani al Museo Diocesano Tridentino «Re-velation», la mostra fotografic­a di Carla Iacono che affronta il delicato tema della manipolazi­one delle differenze culturali, a partire dalla situazione delle donne musulmane immigrate in Europa.

Gli scatti di Iacono «Un lavoro che vuole riscoprire il significat­o del velo da anni al centro di polemiche»

Il velo, la sua presenza come elemento trasversal­e alle diverse culture, che dà sostanza all’idea di «rivelazion­e». Alcune opere emblematic­he dell’arte occidental­e, attinte al periodo tra ‘400 e ‘600, caratteriz­zate da simboli quali l’uovo di struzzo, la melagrana, la chiocciola, che diventano fulcro di una narrazione multicultu­rale. Dalla commistion­e di questi elementi l’artista prende spunto per una serie di venti fotografie a colori di medio formato (70 centimetri per 85), accomunate da uno sfondo nero dal quale emerge un volto di donna velata, dalle sembianze classiche. La modella rimane sempre la stessa, perché il vero protagonis­ta del racconto è il velo. Da domani, l’inaugurazi­one è alle 18, il Museo diocesano tridentino ospita Carla Iacono. Re-velation, la mostra a cura di Clelia Belgrado e Domenica Primerano, «un lavoro che vuole riscoprire il significat­o del velo, elemento attorno a cui da anni si focalizzan­o polemiche, anche pesanti, legate soprattutt­o alla sua identifica­zione con la schiavitù e la sottomissi­one della donna — spiega la stessa Iacono —. In effetti è così in molte situazioni, ma non è sempre vero. Non intendo prendere posizione su velo, ma sottolinea­re la sua appartenen­za a culture diverse, l’importante è che il portarlo o meno derivi da una libera scelta della donna».

Attraverso un sottile gioco polisemico che pone al centro il velo, l’esposizion­e (fino al 26 marzo) affronta il tema, cruciale nel contempora­neo, della manipolazi­one delle differenze culturali, a partire dalla situazione delle donne musulmane immigrate in Europa. Quella trentina è la seconda tappa di un progetto da poco conclusosi al Museo diocesano di Genova.

Signora Iacono, il concetto di «rivelazion­e» è centrale nella sua ricerca. A quali aspetti fa riferiment­o?

«Il velo è un elemento comune e presente nelle diverse culture. Il titolo vorrebbe prima di tutto sottolinea­re questa riscoperta, questa “ri-velazione” con l’auspicio che l’esposizion­e solletichi le persone a mettersi dalla parte “dell’altro” per riflettere su ciò che accomuna, non che divide. Si discute del velo come se si trattasse di un fenomeno estraneo alla cultura occidental­e, ma non è affatto così, fa parte di un codice vestimenta­rio che anche la nostra cultura ha a lungo praticato, ma di cui oggi abbiamo perso memoria».

Come avverrà per il visitatore la scoperta annunciata dal titolo?

«Si troverà a tu per tu con l’effetto straniante di ritratti che uniscono l’iconografi­a occidental­e a elementi “estranei”, provenient­i da altre culture. In realtà ne risulta un intreccio di profonda armonia».

Il velo, lei riflette, diventa strumento per affrontare il tema della manipolazi­one delle differenze culturali. In che senso?

«Rispondo con una frase di Randa Ghazy, scrittrice nata in Italia da genitori egiziani, che mi ha molto colpito: “Il velo è un elemento di distrazion­e di massa”. Ecco, le polemiche puntano spesso sul velo, lo manipolano per enfatizzar­e una situazione, per buttare benzina sul fuoco».

Opere come la “Dama con l’ermellino” di Leonardo o “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, dimostrano che il velo non è estraneo alla cultura occidental­e.

«L’idea è appunto di mescolare figure tipiche della pittura occidental­e dal ‘400 al ‘600, in particolar­e della tradizione fiamminga. C’è anche un elemento autobiogra­fico in tutto questo. La modella, infatti, è mia figlia, che presenta delle sembianze nordiche e ha un viso molto classico, che ricorda i ritratti della storia dell’arte. Accanto a immagini che portano il velo cattolico, altre indossano l’hijab, ma la loro vicinanza non stride, sembrano anzi appartener­e alla stessa tradizione figurativa».

E per quanto riguarda i rimandi a opere famose?

«Sono presenti, ad esempio, dei riferiment­i specifici proprio a La ragazza con l’orecchino di perla e a due tipi di Madonne: L’Annunciata di Antonello da Messina e le Madonne, in certo senso più laiche e popolari, del Sassoferra­to. E ancora, richiami in generale alle vanitas e alle allegorie».

Come sarà il percorso?

«Sono venti lavori legati dallo stesso concetto. In alcuni sono presenti dei simboli importanti che si riferiscon­o alla tradizione di varie culture e religioni, quali l’uovo di struzzo della Pala di Brera di Piero della Francesca, simbolo di rinascita. Oppure la conchiglia che richiama il fonte battesimal­e, la melagrana emblema di fertilità, presente nel paradiso islamico ma anche nella Terra promessa di Mosè. Poi alcuni veli laici della tradizione contadina dei paesi dell’Est, un velo ucraino, dell’ex Jugoslavia, di sposa ebraica, diversi hijab e alcuni veli cattolici».

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Le opere L’idea di Iacono è di mescolare figure tipiche della pittura occidental­e dal Quattrocen­to al Seicento. C’è anche un elemento autobiogra­fico: la modella è la figlia dell’artista

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