«Trasformiamo le parole in atti concreti»
L’invocazione dell’arcivescovo Tisi ai fedeli: «Accogliamo il dio che si è fatto carne»
L’arcivesco di Trento, monsignor Lauro Tisi, nell’omelia di Natale ha pregato i fedeli riunitisi nella basilica del capoluogo di trasformare le parole in atti, i buoni propositi in azioni concrete.
TRENTO «Il “camminare con” non è un appiattimento delle identità, ma la grande occasione per scoprire la ricchezza degli altri, per trovare soluzioni sorprendenti che la solitudine dell’“io” non è in grado di regalare, scoprendo la ricchezza delle differenze». Andare oltre, superare se stessi e la parola. È questa l’invocazione che lunedì mattina l’arcivescovo di Trento monsignor Lauro Tisi ha rivolto ai tanti fedeli radunatisi nella cattedrale del capoluogo per partecipare alla messa di Natale e seguire la solenne pontificale.
L’invito allo sforzo è quello che monsignor Lauro chiede ai cristiani trentini affinché non si fermino al puro dono della parola ma trasformino il dire in fare. «La parole è un vero miracolo, una realtà straordinaria, è vita e dà vita» ha esordito l’arcivescovo, sottolineando che grazie alla parola abbiamo la possibilità di incontrare gli altri. La parola quindi come mezzo e non come fine. «Molti sono però i rischi nell’uso della parola» ha infatti avvertito monsignor Lauro, che mette in guardia dal «pensare di aver fatto qualcosa solo perché se n’è parlato». «C’è il pericolo concreto che esistano le parole e non la realtà — prosegue l’arcivescovo — Il timore che la parola, da forza creatrice, si spenga e divenga suono sordo, vuoto, senz’anima, è forte. Possono fare questa fine anche gli auguri di Natale».
L’invocazione che monsignor Lauro ha rivolto ai fedeli è quella di badare al significante ma senza scordare il significato. Curare la forma senza abbandonare il contenuto. È questa, del resto, «la provocazione» del Vangelo di Giovanni che è stata al centro dell’intera omelia dell’arcivescovo: «La parola si fece carne». È dunque «mirabile» il dio delle sacre scritture citate perché «si fa regalare l’attitudine a parlare da Maria e dal falegname di Nazareth», un gesto con il quale «dio diventa parola rivestendosi della nostra umanità». Un dio che si fa in qualche modo contenere dalle parole stesse per poi liberarsene. «Quanto sarebbe bello — commenta Tisi — se anche le nostre parole ritrovassero il gusto del silenzio della grotta di Betlemme per riprendere verità, incisività, creatività».
«La parola che si fa carne marca la differenza tra “essere con” e “chinarsi su”. Tra essi c’è un abisso. Gesù non soltanto si china su di noi, ma è “con” noi» ha proseguito l’arcivescovo. È così dunque che «l’“essere con” è il trionfo dell’uguaglianza» perché «l’amore non ha alternative per manifestare se stesso: o trova uguali o rende uguali». In questo modo, dunque, quell’«appiattimento» diventa la maniera per superare «la solitudine dell’“io”».
Tisi ha citato di nuovo il Vangelo di Giovanni: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo, eppure il mondo non lo ha riconosciuto» legge l’arcivescovo, ricordando che «le tenebre contrastano con l’“essere con”».
«Questo dio profondamente umano, che si fa carne nelle donne e negli uomini che sanno essere casa gli uni per gli altri, spesso vorremmo relegarlo in cielo e impedirgli di frequentare l’umano, per poi scaricare su di lui le nostre responsabilità, chiamandolo a intervenire al bisogno, i imputandogli i mali del mondo» ha ripreso monsignor Lauro, spiegando che «fare Natale è invece accogliere il dio con noi, sapere che abbiamo la possibilità di incidere nella storia e farla diventare terreno di comunione». «Egli è la parola che si è fatta carne, per trasformare la carne della nostra storia, in Parola di vita — conclude Tisi — A noi accogliere o rifiutare».