I parrucconi e la difesa del benessere
mantenimento del livello di benessere procurato dal lavoro delle generazioni precedenti: un traguardo sempre più sfidante e per il quale onestamente non siamo, a quanto pare, attrezzati.
Ciò che sta accadendo è quanto già visto in tutto il mondo occidentale, a partire dall’elezione di Donald Trump per proseguire con la vittoria dei favorevoli alla Brexit. Un percorso che gli studiosi più accreditati (Robert Putnam in America, Gianfranco Pasquino da noi) identificano con la «verticalizzazione» della politica, ossia con l’avanzare delle connessioni «escludenti» tra individui.
Esistono due forme di fare reti sociali: quelle che costruiscono ponti tra le sue componenti («bridging») e quelle che generano legami protettivi per chi partecipa («bonding»), con l’obiettivo di saldare gli elementi del potere. Letto così, ciò che per semplicità chiamiamo «trasformismo di Viola e compagni» in realtà è la conseguenza dell’azione marginalizzante ed escludente di chi governa: con noi o contro di noi. Rossi e il Patt, in ciò, sono peraltro molto meno performanti della Margherita di Dellai.
Il punto è che le reti «bonding» non hanno alcun interesse ad affrontare i problemi, anzi potremmo dire che al riguardo siano tecnicamente «negazioniste». Al contrario, abbiamo proprio bisogno di prospettive, di reti che facciano ponti, finché siamo in tempo. Il problema non è, e non è stata, solo la crisi, bensì la prosperità raggiunta dalla nostra società, che ci ha resi cittadini diversi dai nostri padri e dai nostri nonni (quelli erano obbligati a fare «ponti» perché nulla avevano da «proteggere»).
Il livello cui pretendiamo di vivere, ovvero la (modesta) quantità di lavoro e abnegazione che siamo disposti a mettere in campo in cambio di maggiori consumi, è la prima ragione che non ci permette di aumentare l’asticella del benessere già raggiunto. Questo è il problema, non Viola e Daldoss.