DOLOMITI DA VIVERE
Un velo di tristezza prende piede leggendo la polemica sulla trasmissione che Alberto Angela ha dedicato alle Dolomiti. Da tempo evidenziamo l’impegno necessario per fare del riconoscimento Unesco alle Dolomiti un’effettiva opportunità, ma spesso vi sono segnali in direzione contraria. Il «caso Angela» denuncia un problema che viene da lontano. La Fondazione Dolomiti Unesco, scelta opportunamente per gestire il patrimonio naturale una volta che è stato accreditato, meriterebbe un maggiore riconoscimento e la decisione di mettere a disposizione una parte della propria sovranità da parte dei fondatori, istituzioni e soggetti dei territori. Se il patrimonio è seriale dovrebbe accomunare, non dividere, ma per generare una vera comunità di intenti la moral suasion non può bastare. E le «reazioni alle reazioni» rischiano di essere peggiori delle prime se si risponde che «i veneti sono invidiosi». Quando sono in gioco le emozioni non è il caso di sottolineare certi atteggiamenti, poiché così si accentua il problema anziché attenuarlo.
I fatti sembrano evidenti: un giornalista realizza liberamente una trasmissione; le istituzioni consultate forniscono alcuni suggerimenti che possono essere ascoltati o meno; non vi sono interferenze non lecite; il bene viene comunque comunicato e valorizzato. Chi guarda alle Dolomiti non lo fa in base ai confini amministrativi e stona davvero il localismo messo in relazione con la natura di chi ha attribuito il riconoscimento, l’Unesco, espressione di una delle poche istituzioni mondiali esistenti. Invece mostriamo di essere vittime di una lettura del passato con gli occhi del presente, dando vita a un mondo che in buona misura non c’è mai stato. Le Alpi e, quindi, le Dolomiti non erano territori di confine, come li vediamo noi oggi, bensì di floridi e ampi scambi di popolazioni, economie e culture. È pertanto un errore erigere barriere o concepire le Dolomiti solo come una risorsa da vendere e non come un patrimonio da vivere.
«Poiché è evidente che il passato non ha luogo che nel presente, che esso non vive che nella sua epifania nell’istante che si presenta ad accoglierlo»: così scrive Giorgio Agamben, ma non è ascoltato. Perché noi facciamo del passato un feticcio e ne rimaniamo prigionieri. Intanto siamo patrimonio Unesco e converrebbe accorgersene, scegliendo di unire le forze per dare valore a una così unica opportunità.