Così le masse diedero forza alla dittatura
Se il Giorno della Memoria è istituito con funzioni di ricordo e di sollecitazione morale, ancor prima che materiale, la sua funzione non può ridursi solo all’evocazione di fatti e avvenimenti occorsi, ma deve stimolare un continuo approfondimento sulle ragioni e le cause che portarono l’Europa e il mondo intero a subire una mutazione della loro civiltà che ancora ne segna il cammino. In tal senso, vale forse la pena rammentare anzitutto come nazismo e fascismo non possono essere giudicati in termini di tradizionale teoria politica (come invece lo sono ad esempio le elaborazioni di Hegel o di Marx) principalmente per la loro indeterminatezza e ambiguità. Più che teorie politiche, i due sistemi — per molti versi simili fra loro e per altri assai diversi — non avendo un chiaro impianto ideologico, trasferirono le loro confuse tracce teoriche su di un piano quasi «teologico», soprattutto adatto a essere cornice al culto nazionale, profondamente connesso allo spirito pre e post-bellico che le aveva incubate. Proprio il bisogno di alimentare quel culto necessitava di un apparato liturgico che divenne, fin da subito, la parte centrale ed essenziale dell’intero agire politico. I discorsi, la propaganda, le affermazioni, che tanto oggi ci colpiscono ancora per la loro crudeltà e immediatezza, furono parte integrante dei riti cultuali, fino a svuotare d’importanza i concetti espressi, in favore dell’esaltazione appunto della liturgia, del rito e degli scenari che lo contenevano, in quanto tali. I richiami ai lontani fasti della romanità imperiale per il fascismo e le abili regie per i raduni oceanici del Partito nazista, con le lugubri fiaccolate notturne intimamente legate alla mitologia nordica, rappresentarono il cuore di una comunicazione che aveva lo scopo primario di impossessarsi delle coscienze collettive e di colpire l’immaginazione del popolo, offrendo un’idea di potenza invincibile, tale da coagulare tutte le energie nazionali in un fascio di nervi tesi all’affermazione finale e totale della propria supremazia universale.
Il nazionalismo — fondato sul «Volk», dilatato dalla sconfitta tedesca e dalla «vittoria mutilata» italiana, con l’esaltazione della volontà generale quale bene supremo della nazione — trasformò così le folle con il braccio teso da massa di ascoltatori a potente forza politica; una forza che abbisognava appunto di ritualità e di sogni entro cui ritrovarsi, per poter diventare strumento di lotta e di affermazione del fragile castello teorico delle dittature. Bandiere, roghi di libri, esibizioni ginniche, parate e discorsi — peraltro spesso assai brevi, farciti di argomenti scadenti quanto di altisonanti parole d’ordine — divennero quindi l’essenza dell’agire politico, trasformando la cornice in soggetto. È in un tale contesto, volutamente confuso, che trovò realizzazione l’assunto di Goebbels, secondo il quale una menzogna ripetuta decine di volte diventa una verità assoluta e accettata, a testimonianza anche di quanto le «fake news» non siano affatto un’invenzione del nostro presente. Ecco perché il convincimento delle masse fu rapido e totale e la loro adesione al nazionalsocialismo in Germania e al fascismo in Italia fu convinta e piena, non solo negli slogan o nei sogni di gloria, ma anche purtroppo nell’elaborazione grossolana dell’odio scatenato dal pregiudizio e dall’assenza di qualsiasi contraddittorio politico; un odio che si alimentò di sé, individuando nemici mortali ovunque e chiamando il popolo al dovere di combatterli.
Di qui al non vedere la vastità delle persecuzioni contro ogni diversità, di qui alla delazione nei confronti degli ebrei, di qui alla discriminazione materiale dei «sottouomini» e alla «Soluzione finale della questione ebraica» il passo fu breve, brevissimo, ma soprattutto condiviso e accettato, quasi come un esito naturale della lotta finale fra il bene e il male, cioè di quell’apocalisse che dobbiamo ricordare ogni giorno e non solo il 27 gennaio.