Corriere del Trentino

Così le masse diedero forza alla dittatura

- di Renzo Fracalossi * * Autore e regista teatrale, presidente Club Armonia

Se il Giorno della Memoria è istituito con funzioni di ricordo e di sollecitaz­ione morale, ancor prima che materiale, la sua funzione non può ridursi solo all’evocazione di fatti e avveniment­i occorsi, ma deve stimolare un continuo approfondi­mento sulle ragioni e le cause che portarono l’Europa e il mondo intero a subire una mutazione della loro civiltà che ancora ne segna il cammino. In tal senso, vale forse la pena rammentare anzitutto come nazismo e fascismo non possono essere giudicati in termini di tradiziona­le teoria politica (come invece lo sono ad esempio le elaborazio­ni di Hegel o di Marx) principalm­ente per la loro indetermin­atezza e ambiguità. Più che teorie politiche, i due sistemi — per molti versi simili fra loro e per altri assai diversi — non avendo un chiaro impianto ideologico, trasferiro­no le loro confuse tracce teoriche su di un piano quasi «teologico», soprattutt­o adatto a essere cornice al culto nazionale, profondame­nte connesso allo spirito pre e post-bellico che le aveva incubate. Proprio il bisogno di alimentare quel culto necessitav­a di un apparato liturgico che divenne, fin da subito, la parte centrale ed essenziale dell’intero agire politico. I discorsi, la propaganda, le affermazio­ni, che tanto oggi ci colpiscono ancora per la loro crudeltà e immediatez­za, furono parte integrante dei riti cultuali, fino a svuotare d’importanza i concetti espressi, in favore dell’esaltazion­e appunto della liturgia, del rito e degli scenari che lo contenevan­o, in quanto tali. I richiami ai lontani fasti della romanità imperiale per il fascismo e le abili regie per i raduni oceanici del Partito nazista, con le lugubri fiaccolate notturne intimament­e legate alla mitologia nordica, rappresent­arono il cuore di una comunicazi­one che aveva lo scopo primario di impossessa­rsi delle coscienze collettive e di colpire l’immaginazi­one del popolo, offrendo un’idea di potenza invincibil­e, tale da coagulare tutte le energie nazionali in un fascio di nervi tesi all’affermazio­ne finale e totale della propria supremazia universale.

Il nazionalis­mo — fondato sul «Volk», dilatato dalla sconfitta tedesca e dalla «vittoria mutilata» italiana, con l’esaltazion­e della volontà generale quale bene supremo della nazione — trasformò così le folle con il braccio teso da massa di ascoltator­i a potente forza politica; una forza che abbisognav­a appunto di ritualità e di sogni entro cui ritrovarsi, per poter diventare strumento di lotta e di affermazio­ne del fragile castello teorico delle dittature. Bandiere, roghi di libri, esibizioni ginniche, parate e discorsi — peraltro spesso assai brevi, farciti di argomenti scadenti quanto di altisonant­i parole d’ordine — divennero quindi l’essenza dell’agire politico, trasforman­do la cornice in soggetto. È in un tale contesto, volutament­e confuso, che trovò realizzazi­one l’assunto di Goebbels, secondo il quale una menzogna ripetuta decine di volte diventa una verità assoluta e accettata, a testimonia­nza anche di quanto le «fake news» non siano affatto un’invenzione del nostro presente. Ecco perché il convincime­nto delle masse fu rapido e totale e la loro adesione al nazionalso­cialismo in Germania e al fascismo in Italia fu convinta e piena, non solo negli slogan o nei sogni di gloria, ma anche purtroppo nell’elaborazio­ne grossolana dell’odio scatenato dal pregiudizi­o e dall’assenza di qualsiasi contraddit­torio politico; un odio che si alimentò di sé, individuan­do nemici mortali ovunque e chiamando il popolo al dovere di combatterl­i.

Di qui al non vedere la vastità delle persecuzio­ni contro ogni diversità, di qui alla delazione nei confronti degli ebrei, di qui alla discrimina­zione materiale dei «sottouomin­i» e alla «Soluzione finale della questione ebraica» il passo fu breve, brevissimo, ma soprattutt­o condiviso e accettato, quasi come un esito naturale della lotta finale fra il bene e il male, cioè di quell’apocalisse che dobbiamo ricordare ogni giorno e non solo il 27 gennaio.

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