Keller pubblica «Cuori cicatrizzati» del Kafka rumeno
Il libro di Blecher edito in Italia da Keller Il Kafka rumeno morì a soli ventinove anni
«Sai cos’è che si definisce in medicina “tessuto cicatrizzato”? È quella pelle livida e aggrinzita che si forma sopra una ferita rimarginata. È una pelle quasi normale, tranne per il fatto che è insensibile al freddo, al caldo, o alle offese».
Giunti a questo punto della lettura si sente il bisogno di prendere una pausa, di alzarsi, magari di sorseggiare un tè caldo, perché il libro è così dolorosamente umano che non ci si può chiamare fuori. Ma mentre si cerca di far riposare il pensiero, l’immagine del tessuto cicatrizzato come parte di noi insensibile alle offese rimane là, inamovibile, continuando ad acquisire spessore.
Potrebbe essere che tale zona di apatia, questa sorta di scappatoia al male rappresenti una non così disdicevole autodifesa alla nostra condizione sulla terra? Come sarebbe possibile in certi momenti avere la forza di continuare se non intervenisse una cicatrice quasi a mettere un punto di sigillo a certe ferite? Che poi è tutto da vedere se davvero dette cicatrici possano costituire un’efficace barriera contro il dolore, quello che inonda da dentro e non conosce argini. Per queste insidiose vie conduce Emanuel, il protagonista di Cuori cicatrizzati, il romanzo di Max Blecher dal 26 gennaio in libreria per Keller editore, traduzione di Bruno Mazzoni. Un classico mitteleuropeo del 1937 mai tradotto prima in italiano che rinnova uno dei tòpoi della letteratura novecentesca: quello del sanatorio. Un po’ Montagna
incantata per i luoghi in cui è ambientato, ma più vicino allo stile della prosa kafkiana per quel suo periodare breve che sembra ridurre all’essenziale gli aggettivi e per le atmosfere straniate e stranianti in cui si sviluppa la storia.
Nato a Botosani in Romania, Max Blecher è uno scrittore ebreo morto a soli 29 anni, nel 1938, per tubercolosi spinale. Trascorse i dieci anni di malattia quasi sempre a letto, immobile. Scrisse poesie, due romanzi — Accadimenti nell’irrealtà immediata e Cuori cicatrizzati editi in Italia da Keller — e mantenne un’intensa corrispondenza con André Breton, André Gide e Martin Heidegger.
Cuori cicatrizzati racconta la storia di Emanuel, giovane studente di chimica, che scopre all’improvviso di essere affetto da tubercolosi ossea. Il medico gli consiglia di curarsi nel sanatorio di Berck, una località di mare nel Nord della Francia. L’inizio del percorso, che per il ragazzo è anche di formazione, avviene con la diagnosi della malattia in un ambulatorio in cui il dottore «continuava a fumare, lasciando cadere incurante la cenere sul pavimento, sul pavimento di questo terribile spazio della scienza dove ogni centimetro quadrato sembrava carico di misteri e di elettricità». E il primo mistero che esce dalla radiografia è una vertebra cui «manca una parte di osso». Emanuel rimane perplesso, non capisce come il pezzo di osso sia potuto sparire. Lo chiede al medico: «È corroso da microbi» — risponde —. «Come un dente corroso da una carie».
Il sanatorio sorprende Emanuel con il suo biancore e il pervasivo silenzio, ma anche con i suoi codici incomprensibili all’esterno. Da subito il medico lo informa che dovrà portare un busto di gesso che però definisce «assolutamente nulla di grave! (…) comodo come se stesse in poltrona». Quando il giovane si trova poi in sala da pranzo rimane sconvolto dal contrasto che nota «tra il condurre una vita quasi normale (leggere il giornale, pranzare in un ristorante, essere ben vestito) (…) e comunque giacere imprigionato dentro un gesso, con le ossa rose dalla tubercolosi (…) Il paradosso constava nell’esistere e pure nel non essere “completamente vivo”». Scoprirà di lì a poco che tale presunta normalità si estende a clandestine feste da ballo notturne che si consumano in un’atmosfera surreale in cui tra alcol e battibecchi si arriva persino ad alcuni spari che lo sprofondano «ancor di più nell’incomprensione e nell’allucinazione».
Ma il sanatorio di Berck è anche un labirinto da cui le persone non sanno più uscire perché «è una cosa diversa da una città di malati. È un veleno assai insidioso. Entra direttamente nel sangue. Chi ha vissuto qui non si ritrova da nessun’altra parte». Tra queste persone c’è anche Solange, ora guarita, dattilografa in uno studio legale ma continua a vivere a Berck. Per lei Emanuel prova un’attrazione, e la ragazza la ricambia. E allora il sanatorio si apre oltre le mura, anche psicologiche, ed Emanuel prende ad uscire di frequente col calesse, accompagnato da Solange. È autunno, la spiaggia è deserta, l’oceano «portava onde scialbe con spume gialle, di liscivia», e anche i sentieri di campagna sono angusti e abbandonati. Un caldo nuovo però sgorga dal contatto dei corpi dei due giovani «che unificava la loro circolazione e Emanuel ritrovava il proprio pulsare nei battiti del cuore di lei. L’attirava verso di sé e le baciava i capelli. Posava il capo su di lei e ne aspirava il profumo caldo, femminile, di lavanda». Il punto è: ma esistono «cuori cicatrizzati», o è all’interno di questo ossimoro che si gioca la forza del romanzo di Blecher?