Corriere del Trentino

I «Giovin signori» nel Settecento italiano Oggi il lavoro di Cont

- G. B.

«Cos’è il “gran mondo” del Settecento italiano? (…) Una élite dotata di straordina­ria capacità di autorappre­sentazione attraverso gusti culturali inconfondi­bili, il riconoscer­si in mode, costumi, comportame­nti, valori condivisi, comuni modelli di una formazione che si sviluppa tra i 7 e i 35 anni». Con questa osservazio­ne Aurelio Musi apre la prefazione di Giovin signori: gli apprendist­i del gran mondo nel Settecento italiano (Società editrice Dante Alighieri, 2017) il libro di Alessandro Cont che sarà presentato oggi alle 17.30 alla Sala della Fondazione Caritro di Rovereto. All’incontro, organizzat­o dall’Accademia roveretana degli Agiati, in dialogo con l’autore interverra­nno Cinzia Cremonini, Università Cattolica del Sacro Cuore; Maria Pia Paoli, Scuola Normale Superiore di Pisa; Vincenzo Lagioia, Università di Bologna. «In famiglia», «a scuola», «in società»: questi gli ambiti in cui Cont approfondi­sce i diversi aspetti dell’educazione e del comportame­nto del «giovin signore» di pariniana memoria, quello che non senza una vena di pungente ironia, il poeta immortala al termine di un giorno e una notte di impegni mondani e divertimen­ti. È ormai l’alba quando «a te soavemente i lumi chiuse/ il gallo, che li suole aprire altrui», recitano i versi. Damerini infingardi, narcisisti ed effeminati, così il luogo comune vuole «giovin signori», e lo studio di Cont consente di precisare le ragioni e l’effettivo ruolo storico di questo fenomeno sociale. Con una prosa elegante e capace di mantenere alta l’attenzione, unita a un approccio polisemico, lo studioso conduce tra le diverse vicende delle famiglie nobiliari italiane, mettendone in luce dinamiche e contraddiz­ioni, ma anche tensioni interne, come quella che Alessandro Bandini Collateral­i in risposta alle continue «riprension­i» dello zio Giovanni Battista Bandini, nel 1736 esprime così: «Per quanto mi avvedo [lei] vorrebbe tenermici come uno scolaretto, e io la vita di scolaro l’ho esercitata per 20 anni cioè tutta l’età mia, e ora non ne voglio sapere altro». Può anche capitare che le risolute dichiarazi­oni di un ragazzo sul proprio avvenire suscitino dubbi nei parenti più stretti, come accade al capofamigl­ia genovese Giovanni Francesco Brignole Sale marchese di Groppoli, nel 1720, che si interroga e sollecita indagini in merito alla genuinità della «vocazione di farsi gesuita» manifestat­agli dal fratello diciottenn­e Giuseppe Maria, allievo del Collegio Romano.

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