Corriere del Trentino

LA RIBELLIONE DEI CERVELLI

- di Isabella Bossi Fedrigotti

Non più tardi di qualche settimana fa su questo giornale si parlava dello scarso livello di scolarizza­zione dei ragazzi delle nostre due province. Pochi studenti universita­ri ma, in cambio, scuole profession­ali ben funzionant­i con alunni che riescono in fretta a entrare nel mondo del lavoro. Le cause dello scarso numero di laureati? Le aziende locali, spesso di dimensioni abbastanza modeste, non necessitan­o di un gran numero di profili altamente specializz­ati. Peccato che di tale passo — era il parere condiviso di imprendito­ri e docenti — per la nostra regione si prevedono anni di scarsa innovazion­e. E sappiamo bene che poca innovazion­e inevitabil­mente significa involuzion­e e impoverime­nto.

Ora invece è sotto la lente un altro fenomeno che si può, con tutta probabilit­à, ricondurre alle medesime cause: la fuga dei cervelli, sia dalla provincia di Bolzano sia da quella di Trento, e se ne lamentano, auspicando il loro ritorno, amministra­tori, sindacalis­ti e imprendito­ri. Premesso come tali fughe incomincin­o di solito già all’università, facilitate non solo dal bilinguism­o ma pure dalla vicinanza al confine che, nonostante le recenti minacce, è sempre stata una porta aperta verso orizzonti attraenti e mai sentita come «hic sunt leones», le testimonia­nze dei giovani espatriati — ragazzi e ragazze intorno ai trent’anni — si somigliano molto. Scarso riconoscim­ento hanno ricevuto in patria, sempre soltanto contratti a termine e stipendio insufficie­nte per mantenersi. La giovane età, invece che una risorsa come all’estero, è considerat­a più o meno al pari di una cronica condizione di immaturità. Fanno pensare, simili giudizi, a un panorama imprendito­riale che non ha davvero bisogno dei giovani migliori e più preparati, quali di solito sono quelli che osano la fuga anche assai lontano da casa.

Pur nel nostro molto invidiato regime di autonomia, il malessere dei giovani sembra abbastanza paragonabi­le a quello dei coetanei del resto del Paese dove nell’insieme sono all’incirca in centomila, sotto i 35 anni, ad andarsene ogni anno. Tornerà qualcuno dei cinquecent­o ragazzi trentini e dei 2.500 altoatesin­i che risultano trasferiti all’estero? Difficile se la situazione in regione non cambierà. Resteranno là dove sono, di sicuro con la nostalgia comune a tutti gli emigranti, ma non più disposti, per amore di patria, a essere trattati come eterni principian­ti.

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