LA RIBELLIONE DEI CERVELLI
Non più tardi di qualche settimana fa su questo giornale si parlava dello scarso livello di scolarizzazione dei ragazzi delle nostre due province. Pochi studenti universitari ma, in cambio, scuole professionali ben funzionanti con alunni che riescono in fretta a entrare nel mondo del lavoro. Le cause dello scarso numero di laureati? Le aziende locali, spesso di dimensioni abbastanza modeste, non necessitano di un gran numero di profili altamente specializzati. Peccato che di tale passo — era il parere condiviso di imprenditori e docenti — per la nostra regione si prevedono anni di scarsa innovazione. E sappiamo bene che poca innovazione inevitabilmente significa involuzione e impoverimento.
Ora invece è sotto la lente un altro fenomeno che si può, con tutta probabilità, ricondurre alle medesime cause: la fuga dei cervelli, sia dalla provincia di Bolzano sia da quella di Trento, e se ne lamentano, auspicando il loro ritorno, amministratori, sindacalisti e imprenditori. Premesso come tali fughe incomincino di solito già all’università, facilitate non solo dal bilinguismo ma pure dalla vicinanza al confine che, nonostante le recenti minacce, è sempre stata una porta aperta verso orizzonti attraenti e mai sentita come «hic sunt leones», le testimonianze dei giovani espatriati — ragazzi e ragazze intorno ai trent’anni — si somigliano molto. Scarso riconoscimento hanno ricevuto in patria, sempre soltanto contratti a termine e stipendio insufficiente per mantenersi. La giovane età, invece che una risorsa come all’estero, è considerata più o meno al pari di una cronica condizione di immaturità. Fanno pensare, simili giudizi, a un panorama imprenditoriale che non ha davvero bisogno dei giovani migliori e più preparati, quali di solito sono quelli che osano la fuga anche assai lontano da casa.
Pur nel nostro molto invidiato regime di autonomia, il malessere dei giovani sembra abbastanza paragonabile a quello dei coetanei del resto del Paese dove nell’insieme sono all’incirca in centomila, sotto i 35 anni, ad andarsene ogni anno. Tornerà qualcuno dei cinquecento ragazzi trentini e dei 2.500 altoatesini che risultano trasferiti all’estero? Difficile se la situazione in regione non cambierà. Resteranno là dove sono, di sicuro con la nostalgia comune a tutti gli emigranti, ma non più disposti, per amore di patria, a essere trattati come eterni principianti.