«Il cyberbullismo ha ucciso Carolina»
Parla Paolo Picchio, padre di Carolina: «Voglio dare voce a mia figlia»
«Il mio consiglio ai genitori è: dite anche dei no». Questo l’appello di Paolo Picchio, padre di Carolina, la ragazza 14enne vittima del cyberbullismo.
TRENTO «Le parole fanno più male delle botte». Così lasciava scritto nel 2013 Carolina Picchio, quattordicenne di Novara, poco prima di togliersi la vita a seguito della diffusione di un video che la vedeva vittima di un abuso di gruppo da parte di ragazzi poco più grandi di lei. Un messaggio così forte che ha avuto la capacità di aprire gli occhi all’intera comunità sulla piaga sociale del cyberbullismo. Il padre Paolo — ieri a Trento per il «Safer internet day» promosso dalla Polizia di Stato, che ha coinvolto studenti, docenti e genitori (ne riferiamo nell’articolo a fianco) — continua a diffonderlo fra giovani e genitori di tutta Italia.
Da quando inviò quella lettera alla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e grazie all’impegno della senatrice Elena Ferrara, ex insegnante di Carolina, è stato fatto un importante passo avanti nel contrasto del cyberbullismo, con la legge approvata a giugno.
«È la prima legge fatta per i giovani in funzione preventiva ed educativa, non solo punitiva. Alcuni questori hanno già applicato l’ammonimento. Ma il fatto più positivo è che in ogni scuola sia stato scelto un responsabile per contrastare il cyberbullismo. I ragazzi iniziano a conoscere gli effetti di questa piaga. Inoltre, anche i grandi del web stanno collaborando per inserire vincoli alla divulgazione di certi contenuti pericolosi».
I genitori dicono di non riuscire a controllare tutto ciò che fanno i figli con il proprio cellulare. Secondo lei è vero, o invece c’è ancora superficialità nei confronti di questi dispositivi?
«Il problema è prima di tutto educativo. Molti genitori sono incapaci di educare i figli e sono troppo accondiscendenti. Alcuni danno in mano a bambini di 8 anni uno smartphone, una scelta aberrante. Se guardiamo i dati, due ragazzi su quattro si trasmettono immagini intime già a 10 anni; il 97 per cento apprende la sessualità da siti internet. Una tragedia culturale, perché compromette lo sviluppo sessuale e mistifica la percezione dell’atto sessuale. Si è visto con chiarezza nell’episodio che ha coinvolto mia figlia».
Qual è il messaggio che si sente quindi di rivolgere ai genitori? «Di imparare a dire no. No allo smartphone prima dei 13 anni, no ad essere lasciati all’oscuro di ciò che i ragazzi si scambiano sul cellulare. Inoltre, devono educare i figli al rispetto degli altri e cogliere segnali di disagio nell’adolescente, perché potrebbero rimandare ad atti di bullismo subiti».
Carolina aveva esternato in qualche modo il proprio disagio?
«Nonostante i suoi 14 anni, aveva le spalle grosse, non le interessavano i pareri altrui. Quando però ha cominciato a circolare quel video spaventoso con tanto di 2.600 commenti indicibili, non ce l’ha fatta. Ha avuto la forza di scrivere il motivo per cui ha scelto un gesto estremo, per lasciare un messaggio alla sua generazione e a quelle future. E per questo è stata vincente, seppur vittima».
Un messaggio, quello di Carolina, che lei continua a diffondere.
«Dopo lo sconforto iniziale, ho scelto di dar voce a mia figlia. Porto avanti una battaglia di formazione, di cura con percorsi innovativi e di ricerca, per far capire che il bullismo distrugge l’intera comunità. Prima di quello che è successo a mia figlia, nessuno parlava di cyberbullismo. Ho portato la storia di Carolina a 20.000 ragazzi, e qualcosa si sta muovendo».