Corriere del Trentino

Boato racconta il suo ‘68 «Trento, un caso unico»

Il libro L’eredità politica e culturale del movimento e di Lotta continua «Né nostalgia né celebrazio­ne, ma ideali validi anche dopo 50 anni»

- di Andrea Bontempo

Il dialogo che segue si svolse a Poona, India, nel 1980. Il maestro Bhagwan Shree Rajneesh, guru del movimento spirituale degli arancioni, interroga un nuovo seguace, un italiano di 38 anni rinominato Swami Anand Sanatano («Eterna beatitudin­e»): «Sanatano, perché volevi fare la rivoluzion­e nel tuo Paese?». «Per cambiare le cose». «Per fortuna tu hai fallito, se avessi vinto saresti diventato come quelli che cacciavi». Sanatano rimane in silenzio e medita a lungo su quelle parole. Non sarebbe mai diventato come quelli che cacciava, qualunque cosa significas­se. Perché Sanatano, alias Mauro Rostagno, leader del ‘68 trentino, fondatore di Lotta continua, il 26 settembre 1988 venne ucciso dalla mafia di Trapani. A febbraio era stato a Trento, alla facoltà di Sociologia, in occasione del ventennale del ‘68; forse a un certo punto si ricordò della risposta di Bhagwan e disse: «Per fortuna non abbiamo vinto».

Con queste parole di Rostagno e con il ricordo del suo sacrificio («eredità del movimento del ‘68, del suo impegno politico e civile») si apre Il lungo ‘68 in Italia e nel mondo (La Scuola, 352 pagine, 21 euro), l’ultimo libro di un altro grande protagonis­ta del ‘68 trentino, l’allora leader dei cattolici di sinistra, cofondator­e di Lotta continua ed ex parlamenta­re di Radicali e Verdi, nonché grande amico di Rostagno: Marco Boato (Venezia, 1944). Il testo, in libreria da oggi, «non è né nostalgico né celebrativ­o» chiarisce subito Boato nella prefazione, bensì «ricostruis­ce non solo cosa fu il ‘68 in Italia e nel mondo, ma da cosa nacque negli anni precedenti, come si caratteriz­zò il movimento in quell’anno “epocale” e anche “che cosa resta” a cinquant’anni di distanza. Un’analisi critica, senza mitologie e senza “demonizzaz­ioni” postume, che si rivolge sia alle generazion­i adulte o più “anziane”, sia alle nuove generazion­i».

Un libro divulgativ­o e didattico, arricchito da numerose fotografie - molte delle quali relative all’esperienza trentina -, testimonia­nze personali e documenti inediti. Decisament­e esauriente e di agile consultazi­one il lungo capitolo

Domande sul ‘68 e dintorni, in cui Boato risponde a quattordic­i domande di interesse generale raccolte nei numerosi incontri cui ha partecipat­o negli anni.

Boato, come spiega nel libro il 1968 fu l’apice di un processo lungo e complesso: quali furono gli episodi determinan­ti, prima e dopo quell’anno?

«Sono partito dalla rivolta del luglio 1960 contro il Governo Tambroni e sono arrivato fino al movimento del ‘77, che davvero conclude il “lungo ‘68” italiano, durato più che in qualunque altro Paese del mondo. Tra i tanti fattori posso citare il Free speech movement, la rivolta internazio­nale contro la guerra nel Vietnam e, in Italia, il ruolo del libro Lettera a una

professore­ssa di don Milani. Ma la dimensione fondamenta­le fu quella dell’anti-autoritari­smo, che pervase non solo l’università, ma tutti gli ambiti sociali. La fine arrivò col movimento del ‘77, che fu stroncato non solo dalla repression­e, ma anche dal dirompere della lotta armata e del terrorismo, preceduto dalla strategia della tensione e delle stragi».

Quali furono i maggiori meriti e demeriti dei movimenti studentesc­hi?

«I movimenti studentesc­hi del ‘68-‘69 furono il fattore scatenante di una ribellione antiautori­taria che poi pervase l’intera società, innescando una “lunga marcia attraverso le istituzion­i” che produsse le grandi conquiste civili degli anni ‘70: statuto dei lavoratori, obiezione di coscienza, referendum e divorzio, diritto di famiglia, abolizione dei manicomi, depenalizz­azione dell’aborto, consultori e molto altro ancora. Il maggior limite, passato l’entusiasmo della fase iniziale, fu quello di un eccesso di ideologizz­azione».

Quale fu la peculiarit­à dell’esperienza trentina?

«L’esperienza di Trento fu tra le più innovative e originali in Italia e nel mondo. A Trento il movimento era partito già nel 1966 e aveva avuto una portata di innovazion­e sociale e culturale molto più forte che in altre città; l’esperiment­o della “Università critica”, ad esempio, non ha avuto paragoni in nessun’altra parte del mondo e anche il rapporto tra movimento studentesc­o e movimento operaio è stato tra i più positivi. A Trento inoltre non si verificò alcun episodio ricollegab­ile al terrorismo di sinistra, segno che l’eccesso di ideologism­o era stato meno pesante che altrove».

Cosa prova oggi, cinquant’anni dopo, ripensando alla sua esperienza personale?

«Quell’esperienza fu straordina­ria, ha lasciato un segno profondo dentro di me, tanto più in quanto vissuta contempora­neamente a milioni di giovani di tanti Paesi. Non ho nessun rimorso o rimpianto, anche se ovviamente ci sono state luci e ombre, come in tutte le cose umane. Gli ideali di giustizia e libertà, di antiautori­tarismo e di partecipaz­ione democratic­a mi sono propri anche oggi, dopo cinquant’anni. Sono rimasto un cristiano critico e un uomo impegnato sul piano politico e sociale, non ho mai rivolto la testa nostalgica­mente all’indietro ma ho sempre continuato a guardare avanti con fiducia e speranza, nonostante tutte le miserie esistenti».

All’inizio del libro c’è un lungo elenco in ricordo di compagni di quella stagione che non ci sono più: c’è qualcuno che rimpiange particolar­mente?

«Mi mancano in molti. Soprattutt­o Mauro Rostagno, Alexander Langer e Marta Losito. Ma, ahimè, l’elenco sarebbe ancora lungo, fino a Luigi Bobbio, mio coetaneo, morto nell’ottobre scorso».

Quali sono oggi i suoi rapporti con Adriano Sofri e Renato Curcio?

«Sono amico da sempre di Adriano Sofri e lo sento spesso, oltre a leggerlo tutti i giorni nella sua Piccola posta. Con Renato Curcio non ho più rapporti, perché la sua vicenda nelle Brigate rosse per me è stata una frattura profonda. Ma ne parlo comunque nel libro, dove riporto integralme­nte una bella lettera inedita che mi scrisse nell’agosto 1965, quando facevamo parte del Gruppo democratic­o intesa universita­ria trentina, d’ispirazion­e cristiana».

Cosa intendeva Rostagno quando disse «Per fortuna non abbiamo vinto»?

«Era il suo modo, semplice e immediato, per dire che avevamo fatto tutti assieme una esperienza molto bella, ma che proprio l’eccesso di ideologism­o successivo l’avrebbe resa improbabil­e come proposta politica generale».

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 ??  ?? Marco Boato e Mauro Rostagno (ultimi a destra) a Trento durante una manifestaz­ione studentesc­a del ‘68
Marco Boato e Mauro Rostagno (ultimi a destra) a Trento durante una manifestaz­ione studentesc­a del ‘68

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