Aree alpine, gli stranieri sono i nuovi «montanari»
I residenti extra europei sono il 18%. Moosbrugger: il pluralismo può essere un’opportunità
TRENTO Eterogenee condizioni socio-economiche, elevate specificità territoriali: le Alpi sono per definizione un patchwork multiforme, la cui complessità si riflette anche nei cambiamenti demografici. All’interno della macroregione alpina (Eusalp) fra il 2011 e il 2015 la popolazione straniera residente è aumentata del 14,7%, quella di origine extra-europea del 18%. Altro che spopolamento, verrebbe da dire.
In realtà il mutamento è un prisma a molte facce: se in Austria i residenti provenienti da oltre i confini dell’Unione europea da 180.574 del 2011 hanno raggiunto le 228.665 unità nel 2015, in Francia da 793.168 sono passati a 728.111 in 4 anni. La migrazione è diventata una delle componenti chiave del cambiamento demografico in Europa, anche nelle Alpi, dove assume i contorni di un forte dinamismo. Se n’è parlato ieri alla Fondazione Demarchi, che al tema dedica una due giorni che si concluderà oggi.
«Questi nuovi arrivi sono un problema o una risorsa?» si chiede Annibale Salsa, docente alla scuola per il governo del territorio e del paesaggio. «I nuovi montanari tardo-medievali che ripopolarono le terre alte incentivati dalla feudalità del tempo erano portatori di competenze legate al dissodamento del terreno — spiega — la sfida politica e demografica dell’oggi riguarda persone che la montagna o la neve non l’hanno mai vista: possono acquisire una nuova identità montana?». Per l’antropologo «le strategie di adattamento richiedono tempi lunghi e non facili soluzioni semplicistiche di ripiego». Motivo per cui, secondo il coordinatore del progetto «PlurAlps» Robert Moosbrugger, «il pluralismo può diventare un principio guida per costruire una nuova, necessaria, narrativa quando si parla di migrazioni nelle Alpi, che ne sottolinei le opportunità e non soltanto i pericoli». La questione culturale posta da Salsa trova riscontro nei numeri: «Austria, Svizzera e Lichtenstein sono i Paesi con la maggior percentuale di residenti stranieri nelle zone alpine, cresciuti, di quasi 190.000, 230.000 e 1.300 unità fra il 2011 e il 2015 — spiega la ricercatrice dell’Eurac Elisa Ravazzoli — ma in Francia sono calate di circa 221.000 persone». In Italia dai 2 milioni del 2011 si è passati a 2,4 quattro anni più tardi. Ad aree in forte declino si affiancano contesti in crescita. In alcune zone, inoltre, l’aumento di popolazione è determinato da tassi di saldo naturale e migratorio positivi, in altri il saldo migratorio ricopre un ruolo preponderante.«Da un lato si può parlare di spopolamento, dall’altro non è più appropriato concepire l’area alpina come svantaggiata viste le sue caratteristiche di eterogeneità — evidenzia Ravazzoli — il Trentino e l’Alto Adige non si possono definire svantaggiati, la val Camonica sì». Occorre individuare le specificità: «Mandare messaggi all’ Unione europea — conclude — affinché renda disponibili i dati per effettuare analisi e formulare policy in linea con le peculiarità del singolo contesto».