Clerodendro, ha vita breve l’albero «del destino»
Le foglie del Clerodendrum trichotomum, un piccolo giapponese ben acclimatato anche da noi, emanano un odore strano: come cimici schiacciate. Non profumano, d’accordo, ma nessuno strofina foglie del clerodendro tra le dita da mattina a sera. Siccome diventa un alberello alto circa tre metri, non si entra in quotidiano contatto con il fogliame. Son profumati invece i fiori, raccolti in pannocchie: bianchi, in un calice rossastro, con lunghissimi stami. Compaiono copiosi in agosto fino a metà settembre. I semi, in bacche blu, raccolte in un calice a forma di croce color rosso cardinale, iniziano a maturare a settembre, con l’albero che continua a fiorire. Un colpo d’occhio notevole. L’unico difetto della pianta è la sua breve vita: la crescita rapidissima ne è un segnale. Vivrà per quindici, vent’anni, poi alcuni rami, infine il tronco, inizieranno a seccare. Si può prolungarne la vita con una potatura.
Gli uccelli però aiutano a propagare il clerodendro, si trovano facilmente dei sostituti nei pressi della pianta madre. Nuovi esemplari si ottengono anche da un pezzetto di radice. La forma dell’albero è molto aggraziata, si allarga a ombrello donando un’ombra leggera. Apparteneva alla famiglia delle Lamiaceae: i botanici hanno però scoperto, attraverso la filogenetica
molecolare (Angiosperm Phylogeny Group III), che probabilmente appartiene alla famiglia delle
Verbenaceae. Prendiamone atto. In tedesco la pianta ha un bel nome: Losbaum, albero del destino, dal greco kléros, destino, e déndron, albero - mi chiedo come lo chiamino in Giappone, sua patria di origine. I Greci sicuramente non gli hanno attribuito il nome, perché l’albero fu scoperto nel 1784 da Carl Peter Thunberg, naturalista e medico svedese, che con la Compagnia delle Indie olandese riuscì a intrufolarsi, si può proprio definire così, all’interno del Giappone, paese allora ermeticamente chiuso ai mercanti europei.
Il Clerodendrum bungei, parente del C. trichotomum, invece, cresce benissimo all’ombra leggera. È un grande arbusto di origine cinese, descritto per la prima volta nel 1840 da un altro europeo, Ernst Gottlieb von Steudel. Ha bellissime foglie (anche queste, non proprio olezzanti), rami diritti e violetti, e splendidi fiori rosso cardinale, che da lontano assomigliano a quelli delle ortensie, profumatissimi. L’arbusto raggiunge i due metri, ed è descritto come amante di luoghi umidi: invece da me si trova bene -da circa dieci anni- sotto un ciliegio, in un luogo arido e pieno di radici concorrenti; non si può dunque generalizzare. Ha bisogno di alquanto spazio: tende ad allargarsi sotterraneamente cacciando polloni. Sono facilissimi però da estirpare, se non graditi.