Corriere del Trentino

TRE QUESTIONI NON AGGIRABILI

- di Simone Casalini

Le elezioni politiche di domenica hanno determinat­o un cambio di scenario netto e irreversib­ile, e da questo binario muoveranno le strategie per la scadenza elettorale autunnale che indicherà il nuovo presidente della Provincia. Sono due appuntamen­ti non sovrapponi­bili, ma la loro vicinanza e soprattutt­o la radicalità del voto appena concluso creeranno spazi di interferen­za molto più profondi rispetto al passato.

Il centrosini­stra autonomist­a deve aggiornare la propria proposta politica. L’inerzia con cui si approssima­va a ottobre e il silenzio su alcuni nodi cardine (leadership, rappresent­anza, riequilibr­io dei rapporti tra la Provincia e le altre componenti della società, la dialettica sempre aperta tra centro e periferie) sono stati incrinati. Come si faceva una volta, la radiografi­a della sconfitta non dovrebbe prescinder­e da un’analisi sociale. È la parte più difficile perché la sinistra non dimora più nei luoghi del conflitto — come dimostrano i nostri servizi di questi giorni su fabbriche e quartieri popolari, orientati verso M5s e Lega — e l’elettore si muove con grande disinvoltu­ra, talvolta in modo umorale non trovando più sponde in cui incanalare il proprio percorso. Re-insediarsi non è semplice perché sono stati seppelliti anche gli istituti dell’intermedia­zione sociale (Renzi è stato l’ultimo esecutore). Il problema della rappresent­anza — più volte evocato, più volte aggirato — si afferma anche in questi termini: le candidatur­e delle ultime elezioni politiche sono solo la conferma di una tendenza.

È evidente che domenica si è conclusa una storia allungatas­i per più di un ventennio. Una storia di successo, intendiamo­ci, che ha inventato un’alternativ­a al conformism­o berlusconi­ano. Nelle urne, però, sono stati respinti il fondatore del ciclo (Lorenzo Dellai) e due segretari politici su tre (Franco Panizza e Tiziano Mellarini) dei partiti più importanti. Non sono loro a poter dare le carte per il futuro, peraltro suggerendo evoluzioni algebriche (Ulivo 4.0) che sono quanto di più lontano dal sentimento popolare e quanto di più inespressi­vo sul piano concettual­e. Ora il tema è: Patt e Upt hanno margini di recupero? La cultura popolare ha ancora radici nella società trentina, e se sì come si può riattualiz­zare, risintoniz­zare con il presente?

Il Pd trentino è il solo ad aver preso atto del voto al momento con un’assunzione di responsabi­lità del segretario uscente, e da lì non si può tornare indietro, pena la farsa.

Il copione nei dem rifugge spesso la grammatica politica perché prima si soppesano gli equilibri interni, le acrobazie dell’ego. Il Pd è immerso in un paradosso: ha tenuto rispetto all’irrilevanz­a di Patt e Upt, ma la sua emorragia di consenso prosegue. Persino a Trento, celebrato come fortino, il piatto piange con 3.800 consensi in meno rispetto al 2013. Ha il dovere di recuperare una proposta a sinistra, di guardare al di là del ceto medio e delle classi agiate a cui è attualment­e confinato — e da cui buona parte della sua classe dirigente proviene — se vuole comprender­e le ferite presenti nella società e guadagnare terreno.

In ogni caso, la questione del governo dell’Autonomia e, dunque, della sua leadership riprende quota anche in consideraz­ione dell’indebolime­nto del ruolo di Ugo Rossi, regista infausto delle elezioni. Qui la coalizione dovrà avere la lucidità e la generosità per guardare oltre di sé e oltre le contingenz­e del protagonis­mo personale perché in ballo c’è la riconfigur­azione di un modello di Autonomia che ricostruis­ca una sintonia con il sociale, ultimi compresi.

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