BELLO DETERIORE versus KITSCH SUBLIME
Arte come esercizio del piacere o come espressione del cattivo gusto? Dorfles e l’analisi sull’estetica condivisa da Simone Weil e Ornella Vanoni
Ci ho pensato molto a cosa scrivere questa settimana per il nostro «dorso» del Corriere. Avevo pensato a una rivisitazione sul nazionalismo, a piccole e «stupide» considerazioni sulla nostra maturità in politica, ma non mi va. Ho pensato di parlare di calamità in generale. Poi mi è venuto in mente che una delle più grosse calamità del nostro tempo è la perdita di intervalli, di pause, di silenzi. Come riempire queste pause?
Una volta il consiglio era: pregare e raccontare. Pregare va sempre bene.
Si raccontava di grandi personaggi, di eroi.
Chi sono gli eroi dei nostri tempi? In qualche modo chi ha tenuto, per tanto tempo, una posizione, un concetto, un’idea.
I grandi vecchi forse. Quelli sui quali si può ancora contare, oltre che raccontare. Una volta, da ragazzi ci si «combatteva» sul termine eroe. Era più eroe Achille o Ettore? Più eroi i pellerossa o i bianchi? I rossi o i neri? I tempi cambiano. Fra i miei eroi contemporanei penso a Umberto Eco e a Gillo Dorfles, legati da una rara estensione nel campo degli interessi, interventi, presenze, scrittura, ma prima di tutto la vocazione per l’estetica. Eco ci è mancato nel 2016, ormai due anni fa.
È mancato in questi giorni Gillo Dorfles; vegliardo, più che grande vecchio. Mi sarebbe piaciuto partecipare alle onoranze in sua memoria, dislocate nella sua Milano, ma anche a Pisa e, penso, a Trieste dove era nato nel 1910. Parlo di riti di onoranza perché i funerali non mi piacciono.
Ne ho sempre l’impressione come di una parata dedicata alla «boriosa» morte, parata che termina, alle volte, persino in un gran battimani. È vero che il battimani celebra una pausa, uno iato fra la commozione per la fine, il buco del silenzio e il rumore della vita: questo in teatro e nella vita.
Gillo Dorfles, dicevo, un cittadino della Mitteleuropa con la voglia del futuro.
È raro rimanere giovani quando si diventa vecchi, sempre più vecchi.
Essere senza pregiudizi, da vero scienziato, e passare da scienza ad arte.
Teorizzare la complementarità fra arte e kitsch in un’epoca in cui l’arte si misura con una società strutturata sul generale consumismo dei beni. Cosa dire oggi della bellezza che da esercizio del piacere, del gusto diventa esercizio dei gusti e molto spesso dei cattivi gusti?
O forse è anche vero che la massa dei consumatori nell’acquistare gli oggetti che ora definiamo kitsch, rivelano, in fondo, un desiderio di possedere il bello e lui il grande Gillo Dorfles, senza disprezzo o paternalismi, ha saputo analizzare anche il kitsch senza timori di critiche o cadute.
Così la sua opera Kitsch, antologia del cattivo gusto (Gabriele Mazzotta 1968). Ma cos’è il kitsch, traduzioil ne del termine tedesco che sottolinea: operazione apparentemente artistica che surroga una mancante forza creativa attraverso sollecitazioni della fantasia per particolari contenuti (erotici, politici, religiosi, sentimentali). Ma non, come sottolinea Broch, arte deteriore e, sicuramente, spirito del nostro tempo. A Dorfles lo sdoganamento del concetto di kitsch se si pensa al suo uso travolgente, una marea che monta, uno stile dei gusti della nostra epoca. Ma se questo è il kitsch, cos’è bello?
Se ciò che sta davanti a noi ci piace, in modo disinteressato, pronunciamo uno speciale giudizio: è bello, è bella!
La bellezza si rivela al piacere, al gusto e il piacere è universale, di tutti, non mira né alla conoscenza del fenomeno, nè al giudizio morale.
La bellezza istituisce una corrispondenza tra il sentire del soggetto e l’essere di ciò che gli sta davanti, senza alcun desiderio di possesso.
Bella è una casa, una città, la neve, la cima di una montagna, una persona, una foto, una poesia, un’opera d’arte, una storia, una festa, una sinfonia, un’amicizia, la vita può essere bella.
Bello è un quadro, un fiore, il tramonto, un viaggio, un ricordo, un romanzo, un attore, un film, un progetto, un sogno.
La bellezza acqueta il bisogno di piacere e coloro che coltivano il gusto e desiderano «vivere con le cose belle».
«Non siate ingrati verso le cose belle. Godete di esse, sentendo che durante ogni secondo in cui godete di loro io sono con voi… Dovunque c’è una cosa bella, ditevi che ci sono anch’io»: così scriveva Simone Weil ai suoi amici.
Ci salverà davvero il bello? Io continuo a sperarlo. Ne cantava anche Ornella Vanoni con il suo: «Il bello mi commuove sempre, fortunatamente».
Il bello. Anche se ormai un po’ kitsch.