Corriere del Trentino

«Rigoni Stern» Trionfa la coppia Paolini e Bettin

Il Premio a Paolini e Bettin per Le avventure di Numero Primo La giuria: «Una storia che mette in scena un mondo futuro»

- di Gabriella Brugnara

«La parete di ghiaccio si aprì, lentamente, e un po’ di neve scivolò sulle rocce. Qualche raggio di sole, filtrando tra le nuvole basse, cadde obliquo sulla soglia della grotta. Sul limitare, dall’interno, si affacciò un piccolo essere. Indugiò pochi istanti, fermo, la cavità ombrosa alle spalle, il ghiacciaio e il ghiaione di fronte. Poi fece un passo avanti, nella luce fredda del mattino. Era un bambino, di 5 o 6 anni».

Il piccolo essere — desiderato e pensato da una madre scienziata, ma concepito e messo al mondo da un’intelligen­za artificial­e avanzatiss­ima, tanto da aver sviluppato una coscienza — si chiama Numero Primo. Durante l’inverno, tra l’altro, presso il Teatro Sociale di Trento e il Teatro Comunale di Bolzano sono stati in molti ad apprezzarn­e la capacità di incanto, unita al trepido atteggiame­nto di attenzione nei confronti della natura. Ora Numero Primo, in certo senso, ritorna per sempre alla montagna che l’ha generato: è infatti Le avventure di Numero Primo (Einaudi) di Marco Paolini e Gianfranco Bettin ad aggiudicar­si l’edizione 2018 del Premio Mario Rigoni Stern per la letteratur­a multilingu­e delle Alpi.

«La fantafavol­a di Marco Paolini e Gianfranco Bettin mette in scena un mondo futuro trasformat­o dalla biotecnolo­gia in cui, però, l’intelligen­za artificial­e scopre di poter avere, senza saperlo, anche un cuore», osserva la giuria composta da Ilvo Diamanti, Paola Maria Filippi, Mario Isnenghi, Daniele Jalla e Paolo Rumiz, coordinata dalla giornalist­a Margherita Detomas. «In questa realtà la montagna preserva una sua irriducibi­le differenza rispetto a un mondo globalizza­to, in cui Marghera e Venezia invadono la pianura fino alle Alpi e lo stesso mare perde la sua specificit­à — recita ancora la motivazion­e —. Dalla montagna viene alla luce Nicola, un Numero Primo come preferisce essere chiamato, lo strano e delizioso protagonis­ta del libro. Emergendo da un ghiacciaio. La montagna è il rifugio dove lui, la capra bionica e Ettore, il padre adottivo, riparano nel momento del pericolo. E la montagna è dove muore Matilda, la “madre”, uscita vincitrice nella sua lotta per la preservazi­one dell’Uomo».

«Il primo embrione di questa scrittura nasce nella stagione in cui ero impegnato sul set delle riprese de La pelle

dell’orso», racconta Marco Paolini esprimendo soddisfazi­one soprattutt­o per il fatto che «la giuria di un premio così importante abbia scelto una storia in cui la montagna non viene presentata solo come un’icona, un mondo circoscrit­to, ma quale parte di un insieme complesso, in rapporto di contiguità con la pianura». «Se puntassi il compasso per delimitare il perimetro della storia, dovrei aprirlo da Venezia al Lago di Garda, e poi tracciare il semicerchi­o che, includendo le Dolomiti, arriverebb­e a Trieste dall’altra parte — prosegue —. Gran parte del libro si svolge in questa specie di teatro naturale le cui quinte sono le montagne».

La scena inizia nel Sorapiss in cui si immagina la ricostruzi­one del ghiacciaio, «quella fantascien­tifica invenzione che permette di tenere sotto controllo il ghiaccio anche di fronte al mutamento climatico, e addirittur­a di ricostruir­e le riserve idriche. Ovviamente una forzatura dell’immaginazi­one rispetto al problema reale — osserva ancora — ed è in questa chiave che gran parte del futuro viene immaginato, perché saranno i mutamenti climatici a dettare fondamenta­li scelte».

Un romanzo che apre a delle speranze ma mette anche in luce la stratifica­zione del problema. «Si fa riferiment­o all’inasprimen­to del confronto con il selvatico di ritorno, si parla di mandrie e di ungulati, della presenza di animali predatori che sembrano tornare nello scenario del nostro presente» — conclude.

Anche per Gianfranco Bettin «la trepidazio­ne per la sorte delle montagne nel pianeta che noi immaginiam­o punteggia l’intero libro. In uno dei capitoli finali, che si svolge nel Mar dei Coralli, si delinea anche un parallelis­mo tra la sorte dei coralli attuali e le nostre Dolomiti come antica barriera corallina» — approfondi­sce. «Ci fa molto piacere che sia stata accolta questa centralità del racconto della montagna dentro una storia che non è una delle abituali per questo tipo di narrazione — prosegue —. La montagna è infatti inserita in una visione di prospettiv­a e rappresent­a anche un termometro della salute del mondo perché salvare le montagne significa salvare il mondo. Questa è la cosa che volevamo dire e che voleva anche Rigoni Stern, cui siamo molto legati Marco ed io». Un riconoscim­ento che, aggiunge ancora, «credo riporti per certi versi alle origini di questo premio. Si trattava allora del Premio di letteratur­a di montagna, a lungo presieduto dallo stesso Rigoni Stern. Lo vinsi nel ’97 con

Nemmeno il destino (Feltrinell­i): fu a quella premiazion­e che conobbi Mario» — conclude.

Ricevono la menzione della giuria anche cinque volumi — 54 le opere presentate quest’anno — capaci di raccontare vari aspetti della montagna e delle Alpi. Tra i segnalati i volumi di tre autrici: Antonella Tarpino con Il paesaggio

fragile (Einaudi), Gaëlle Cavalié con Cent heures de solitude (Paulsen – Guerin), Ilaria Tuti con Fiori sopra l’Inferno (Longanesi). Completano la rosa dei segnalati Per forza o per scelta. L’immigrazio­ne straniera nelle Alpi e negli Appennini, AAVV (Aracne), Ballata senza nome di Massimo Bubola (Frassinell­i). La cerimonia di premiazion­e avverrà il 24 marzo alle 17 a Riva del Garda, Palazzo dei Congressi.

Gran parte del libro si svolge in un teatro naturale dove le quinte sono le montagne

Marco ed io siamo molto legati a questo riconoscim­ento letterario

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Scrittori Da sinistra, Marco Paolini noto attore e autore teatrale e, sopra, Gianfranco Bettin

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